Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
Vai a www.possibiliaeditore.eu |
|
|
foto di Alicia Miramundos |
|
|
Viaggiare in Tanzania
Karibuni, benvenuti! I
differenti significati di un safari. di
Alicia Miramundos |
>
scopri il pdf |
«Quanto vuoi per andare a risolvere il problema nel Serengeti?»
Il “problema” sono due wazungu, due bianchi, la cui jeep è
stata messa fuori uso da una guida imprudente. La guida è Kosme, imprudente
sia come conducente che come accompagnatore. Il safari dei due wazungu
potrebbe concludersi lì, nel bel mezzo della “pianura infinita”, il
seren geti. Invece questo imprevisto fa allargare lo sguardo
a macchia di leopardo su tanti altri safari. Safari
in kiswahili significa viaggio. Nell'Africa nera nessuno viaggia
per il puro gusto di conoscere luoghi nuovi: questa è una prerogativa
dei wazungu, per i quali fare un safari significa vivere l'esperienza
di vedere dal vivo, come entrando in un documentario, animali che,
nell'immaginario collettivo dell'uomo bianco, sono l'espressione più
selvaggia di un territorio ancestrale.
Ma per un africano fare un safari vuol dire andare a trovare un parente
malato, a vendere o a comprare al mercato, a procurarsi un documento
o, in ogni caso, mettersi in viaggio per necessità e non per soddisfare
una curiosità. Significa non sapere quando si parte, né come, quando
e se si arriva. Nel suo significato più intrinseco la parola safari
racchiude tutto il rischio, l'imprevisto, l'incognita che lo spostamento
da un luogo all'altro implica nell'immaginario africano: fare un
safari è fare un salto nel buio. Ed è quello che ha fatto Bahati
Mufasa quando è partito da Arusha a mezzanotte per andare a riscattare
i due wazungu nel Serengeti. In Tanzania è pericoloso viaggiare
di notte: strade dissestate, uomini armati, animali selvaggi. Ma a
Bahati hanno offerto tanti soldi, lui ha una famiglia da mantenere
e deve fare il suo safari per essere nel Serengeti all'alba
e permettere ai due wazungu di fare il loro. L'imprevisto
è un uomo a piedi, in uniforme, in mezzo alla strada, ubriaco, che
costringe Bahati a fermarsi. È un capitano dell'esercito, armato di
tutto punto: pensa che Bahati sia un ladro, lo obbliga a scendere
e perquisisce l'auto da cima a fondo; poi sale in macchina e gli ordina
di portarlo in caserma. «Ho trovato qualcuno per il mio safari
- urla ai suoi commilitoni - vado a Musama, mia madre sta male, devo
vederla».
Musama è oltre il Serengeti settentrionale, sono un sacco di chilometri
e Bahati non può portarlo fin là, lui deve fermarsi a Ngoro Ngoro,
ai limiti meridionali della “pianura infinita” e i wazungu
lo stanno aspettando. Ma il capitano non vuole sentire ragioni: deve
andare a Musama, è armato, è un capo. E quindi partono. La notte è
buia, il viaggio è lungo: ai bordi della strada c'è del fumo, qualche
luce fioca: è una festa, capra arrosto e birra. È un piacevole imprevisto:
non si può mancare. «Fermati qui, ho fame, mangiamo qualcosa». Bahati
vorrebbe arrivare il prima possibile all'ingresso del parco, riposare
un po' e ripartire all'alba appena aprono i cancelli: sa che per i
wazungu il tempo è denaro e ogni minuto perduto sarà minuziosamente
detratto dal conto del loro safari. Ma il capitano è armato,
ubriaco e dà ordini: disobbedire sarebbe troppo rischioso, il safari
di Bahati potrebbe concludersi lì. Non gli resta che accontentarlo:
l'uniforme apre ogni porta e quindi sia la capra che la birra sono
gratis per entrambi. Il leone in divisa si trasforma prima in una
iena ridanciana e poi in un ippopotamo ruttante. Barcollante, avvolge
la capra avanzata nella carta di giornale e la carica in macchina.
Si sdraia sui sedili posteriori e Bahati su quelli anteriori. Il primo
depone le armi e il secondo ricarica le batterie.
Dormono solo un paio d'ore: alle cinque suona la sveglia, bisogna
andare. Il militare è più rilassato e sembra un'altra persona: ciarliero,
gentile, riconoscente. Scopre che la moglie di Bahati è della sua
stessa etnia: il viaggio non è più l'ordine di un capitano dell'esercito,
è diventato un favore di famiglia e, come tale, va restituito. La
ricompensa sono tre gomme seminuove per l'auto: sono le cinque di
mattina ma il capitano costringe Bahati a fermarsi al primo telefono
pubblico, deve chiamare sua moglie: «Sono io, sono in safari,
vado a Musama. Ci sono ancora le tre gomme in giardino? Sì? Bene.
Non darle a nessuno». Riaggancia il telefono, si mette le mani in
tasca e si accorge di non avere neanche una moneta. Risale in macchina
e chiede a Bahati 30.000 scellini. Vanno bene anche 20.000. È
l'alba quando arrivano all'ingresso del Serengeti; il capitano scrive
su un biglietto: «Cara moglie, questo è Bahati Mufasa e questi sono
i miei debiti con lui: tre gomme di ricambio e 20.000 scellini». Firma
di suo pugno, lascia l'indirizzo di casa e il nome di sua moglie,
fa un saluto militare, si mette il giornale con la capra arrostita
sotto il braccio e prosegue il suo viaggio. Riuscirà ad arrivare a
Musama?
Un safari è un salto nel buio. Anche i due wazungu lo hanno
fatto quando hanno comprato il loro safari via Internet e anche
Tillya, il muafrika che gliel'ha venduto, ha fatto il suo,
non chiedendo soldi in anticipo e ingaggiando una guida inesperta
quando se li è trovati davanti, pronti a partire. E un salto nel buio
l'ha fatto anche Kosme, quando si è improvvisato guida di safari
per wazungu.
Il safari di Kosme è durato in tutto quarant'otto ore, ma per fondere
la batteria, perdere una ruota di scorta, tranciarne il supporto metallico
e rompere la ventola di raffreddamento gliene sono bastate due. Lui
e i wazungu si sono ritrovati con la jeep in panne nel bel
mezzo della savana: dal finestrino, a destra tre gazzelle di Thomson,
a sinistra il Serengeti immenso. Niente campo per il telefonino. Pole
pole, «calma». Tutto intorno, sole accecante e silenzio assordante.
Ad un certo punto, come un miraggio, all'orizzonte, in una nuvola
di polvere, spunta un pullman di linea. Si avvicina e si ferma: l'imprevisto
è la jeep in panne con i wazungu e il muafrika. È una
sosta forzata anche per i cinquanta africani stipati nel pullman,
che pazientemente aspettano che il loro conducente smonti la batteria,
colleghi vari cavi e faccia partire la jeep a spinta. Le ore passano,
alcuni lavorano, altri guardano, tutti aspettano. Il pullman di africani
riparte: nessuno si lamenta per il ritardo causato dalla sosta, eppure
nessuno è in viaggio di piacere. I wazungu, invece, sono arrabbiatissimi.
L'indomani il loro safari può continuare perché arriva Bahati
Mufasa, pronto ad accompagnarli nella loro avventura. Non sanno
che lui l'ha già vissuta, la sua avventura. E che il suo
safari, come quello di ogni africano, non è osservare gli animali
nella savana, ma sopravvivere alla quotidianità. Karibuni,
benvenuti, questa è l'Africa. Alicia
Miramundos, viaggiatrice instancabile e curiosa, ispanista per passione
e per professione, vive e lavora a Milano. Racconta i luoghi che
ha visto nell’intento di trasmetterne l’essenza e lo spirito |
|
|