Il decesso della fantasia
di Samuel Cogliati
marzo 2017
Attraversare il centro di Milano in un freddo giorno sabbatico primaverile di pioggia è assai istruttivo. Il tema è molto semplice: trovare un caffè di stile classico – una sala da tè, se preferite – in cui ripararsi dall’acqua e concedersi un poco di riposo gustando un caffè, un orzo o un tè e qualche pasticcino.
Ebbene, nella Milano iperdinamica, lanciata alla conquista del mondo sulla scia dell’Expo che fu, il risultato di questa ricerca potrebbe essere frustrante. Non perché il centro storico della cosiddetta capitale economica d’Italia sia privo di locali. Tutt’altro: la dovizia di proposte è quasi imbarazzante. Senonché si oscilla quasi irrimediabilmente tra due modelli opposti:
1) i bar-tavola fredda e/o tavola calda e/o kebab, improponibili per la loro squallida freddezza (non per una pretenziosa questione di igiene, bensì per il loro carattere per nulla accogliente né invitante, e che d’altro canto non possiedono nemmeno più il fascino gaberiano dei bar qualsiasi di 40 anni fa), dove non viene voglia di fermarsi se non per un “caffè volante” al bancone;
oppure
2) quei locali “new age”, “new wave” o “new qualcosa”, la cui originalità londinese/ newyorkese ha ormai irrimediabilmente malmenato le gonadi. Di questi lounge, hamburgerai, bio-caffè, ecc. ci stupivamo, quasi commovendoci, qualche anno fa. Oggi fanno l’effetto di un format insostenibile, basato sulle piastrelle rettangolari bianche, i tavoli e talora le sedute di legno chiaro levigato, le piantine ornamentali a dare un tocco “nature”, i menù a gessetto sulle lavagne di ardesia, i sacchettini di carta in guisa di porta-pane, il candore delle luci, le font e le stampe anni Trenta, i telefoni a gettone o a disco, i barattoli di vetro usati come bicchieri, ecc. ecc.
Ora, il problema non è (solo) la sostanza (ovvero la vacuità contenutistica che talora questi locali rivelano). Il problema – quanto meno per ciò che mi riguarda – è l’ammorbante ripetitività modulare, alla spasmodica ricerca di un successo che, ormai un decennio fa, premiò i migliori di questi luoghi. Un po’ di fantasia, vi imploro, un po’ di fantasia! Oltre le scarpe basse senza calze e il risvoltino più alto che si può… Un po’ di fantasia. Coraggio.