(Da sinistra a destra: Bruno Pilzer, Gianni Capovilla, Guido Fini Zarri, Mario Pojer – Fotografia gentile concessione @ Mauro Fermariello)

A Milano la presentazione dei “quattro moschettieri” dell’acquavite di vino artigianale italiana

di Giorgio Fogliani

Milano, marzo 2019

Difficile trovare un distillato oggi meno alla moda (o dovrei dire forse meno trendy) del brandy. La popolarità di cui godono whisky e gin non è neppure paragonabile, ma è lontana pure l’aura di prestigio un po’ fané che circonda i cugini francesi cognac e armagnac. Quale momento migliore, allora, per una riscossa, guidata da parametri artigianali?

A suonare la carica sono quattro aziende italiane: la bolognese Villa Zarri, nome storico del brandy, le trentine Pilzer e Pojer&Sandri, quest’ultima ben nota agli enofili, e Capovilla, che se al brandy è arrivata in tempi recenti è nondimeno il distillatore forse più rinomato d’Italia, specie tra gli appassionati.

Per salvare il brandy dall’oblio, o dal confino che lo lega alla fosca nomea di etichette che spopolavano negli anni Settanta (rigorosamente industriali), il quartetto ha steso una sorta di manifesto che fissa i canoni di un nuovo modo d’intendere il distillato di vino invecchiato e che possiamo così riassumere. Materia prima (uva e perciò vino) di alta qualità; vinificazione senza solforosa (divieto piuttosto rigido: i solfiti inficerebbero l’espressione aromatica del distillato); alambicchi (charentais o a bagnomaria) che estraggano gli aromi delicatamente; lunghi invecchiamenti, di cui almeno una parte in rovere; nessun additivo (zucchero, caramello, aromi) né pratiche invasive.

Non tutti i vini sono ideali per ottenere un buon brandy: al vino di partenza sono richiesti freschezza e un tenore alcolico moderato: tra le varietà preferite ecco allora i trebbiani (alla cui famiglia appartiene anche l’ugni blanc, il vitigno di cognac e armagnac), ma anche la schiava o il lagarino, un’uva bianca della Val di Cembra. Il vino non è mai invecchiato, ma a seconda dello stile ricercato dal produttore si può procedere alla distillazione già a novembre o tenere il vino sur lies fino a febbraio: nel primo caso, spiega Mario Pojer (Pojer&Sandri), «si cerca di “imprigionare” nell’alambicco tutta l’aromaticità del vino giovane», mentre nel secondo, prediletto da Bruno Pilzer, si cerca un punto di morbidezza e complessità in più.

Il potenziale di invecchiamento è ragguardevole, e può riguardare tanto brandy millesimati quanto blend di varie annate, come nel caso dell’ottimo “25 anni Anniversario” di Villa Zarri, unione di nove diversi distillati frutto delle vendemmie 1987 e 1988.

Brandy
(Fotografia gentile concessione @ Mauro Fermariello)

Ben lungi dall’assomigliarsi, i brandy artigianali sfoggiano una accattivante varietà espressiva, giocati come sono sulle diverse sfumature date da una quantità di variabili: l’uva (e il vino) di partenza, i tipi di alambicco e le varie tecniche di distillazione (spesso d’ispirazione francese), il contenitore e la durata dell’invecchiamento – anche l’affinamento in bottiglia, assicura Guido Zarri, gioca un ruolo importante –, l’acqua con cui vengono diluiti prima dell’imbottigliamento. I margini per la fantasia del produttore sono ampi: lo stesso Zarri ha per esempio sperimentato i brandy “a pieno grado”, ossia non diluiti dopo la distillazione (sul modello dei whisky cask strenght) e dal tenore alcolico che può sfiorare il 60%.

«Il mercato è ostile», lamenta un produttore; «non è roba per giovani», chiosa un altro. Ostacoli innegabili ma che val la pena tentare di superare. La degustazione di alcuni brandy tra quelli prodotti dai quattro “alfieri” lo prova: profumi eleganti tra i registri del tostato, dell’affumicato, delle erbe e degli idrocarburi; l’assaggio, quando si oltrepassa l’impatto focoso dell’alcol – spesso in realtà sorprendentemente integrato – è a volte più secco e schioccante, a volte più carezzevole, non di rado impreziosito da una sapidità rinfrancante. E se la tanto spesso invocata meditazione non fa per voi, abbinate un erborinato nobile e deciso, o un buon cioccolato: non ve ne pentirete.


Queste le fasce di prezzo in enoteca di alcuni tra i brandy dei quattro produttori: 
“Historiae” Brandy Portegnac Invecchiato 13 anni – Pilzer – € 70/80
Acquavite DI VINO Dolomiti Vendemmia 2000 – Pojer e Sandri – € 50/60
Brandy Italiano Assemblaggio Tradizionale 10 anni – Villa Zarri – € 40/50
Distillato di Vino 1998 – Capovilla Distillati – € 60/70