[sopra: uno screenshot dell’annuncio ufficiale sul sito del Consorzio]
di Giorgio Fogliani
• 11 aprile 2025 •
Se ne parlava da un po’, ma alla fine i vignaioli e le vignaiole di Cirò ce l’hanno fatta. Il passaggio a Docg del Cirò rosso classico è realtà, a meno di opposizioni presentate alla Commissione europea entro il 28 giugno (scenario obiettivamente poco probabile).
A qualcuno può sembrare una questione di fascette, di acronimi, di carte. Non è così, per ragioni tanto fattuali quanto simboliche. Tra quelle fattuali, il cambio di disciplinare, che diventa più severo e qualitativo: le rese massime per ettaro scendono da 11,5 a 8 tonnellate, ma soprattutto cambia la base ampelografica. Il gaglioppo passa da un minimo di 80% a 90%, con la quota restante che potrà prevedere solo magliocco e greco nero, escludendo così una volta per tutte i vitigni alloctoni.
Si inserisce qui una ragione simbolica: proprio le uve cosiddette internazionali (di fatto, soprattutto le bordolesi) erano state, una ventina d’anni fa, la pietra dello scandalo che aveva dato vita a una protesta e a una presa di coscienza da parte di un gruppo di produttori e produttrici (Arcuri, Calabretta, De Franco, Parrilla e Scilanga per citarne solo alcuni). La protesta in sé non aveva sortito effetti e gli alloctoni nel disciplinare erano rimasti, ma era riuscita a riaccendere i riflettori sulla denominazione calabrese, e al contempo aveva spinto i protagonisti della cosiddetta “Cirò Revolution” a fare vini sempre più autentici, sempre più curati, sempre più buoni.
Questo circolo virtuoso, insieme a un vero spirito collaborativo tra le aziende del territorio (anche di taglia e di filosofia diverse) ha portato infine al riconoscimento della Docg e all’agognato cambio di disciplinare. I vignaioli di Cirò hanno dimostrato con i fatti (e con il vino) che le loro istanze erano istanze ragionevoli e coerenti con lo spirito del tempo. E il tempo si è rivelato galantuomo: la battaglia, anche se con vent’anni di ritardo, è stata vinta, e non è un dettaglio.
Così come non sarà un dettaglio che una piccola denominazione calabrese sia riuscita a raggiungere lo status di Docg: per gli osservatori più blasé è solo una G in più, ma in alcuni mercati e in alcuni listini potrà giustificare un’attenzione maggiore, o persino un piccolo aumento di prezzo.
Certo, qualcuno obietterà che si può generare confusione tra il Cirò classico Docg e il Cirò Doc (anche riserva), che manterrà il “vecchio” disciplinare, con le vecchie rese e la vecchia base ampelografica (tra le due Doc ci sarà anche una piccola differenza di areale: la Docg si limiterà a Cirò e Cirò Marina, la Doc continuerà a comprendere una parte dei comuni di Melissa e Crucoli).
E, certo, il passaggio a Docg riguarda solo il rosso, lasciando a Doc il bianco e soprattutto il rosato, della cui qualità e storicità non parleremo mai abbastanza. Ma, come mi ha confidato un vignaiolo, «i tempi non erano maturi», e a volte bisogna prendere i treni quando passano.
La vicenda ci ricorda ancora una volta una lezione importante: i cambiamenti veri si ottengono sì con la perseveranza e la tenacia, ma anche con la collaborazione a tutti i livelli, con il compromesso, con il tempo. In una parola, con la politica. •