(Il logo ufficiale dei prodotti bio dell’Ue)

L’Ue ne combina un’altra delle sue e approva un semi-disastro.

di Samuel Cogliati

febbraio 2012

Ne discutevano da vent’anni, e dal lontano 1991 non riuscivano a mettersi d’accordo su che cosa dovesse essere chiamato “vino biologico”. Finalmente, gli esperti del Comitato permanente per l’agricoltura biologica, che coinvolge i 27 Stati membri dell’Unione europea, si sono accordati, e hanno approvato, lo scorso 8 febbraio 2012, le regole che permetteranno alle aziende vitivinicole di etichettare come “vino biologico” i prodotti che le rispetteranno a partire dalla vendemmia 2012. Nello specifico, si tratta di alcuni emendamenti al regolamento europeo 834 del 2007, che definiva e disciplinava gli alimenti bio, ad eccezione appunto del vino.

Nella sostanza, questi emendamenti accolgono per il neonato vino bio le stesse procedure previste per la produzione degli altri vini dal regolamento 606 del 2009, che definisce le regole per il mercato comune europeo. Unica differenza di sostanza, l’abbassamento di circa un quarto del tasso massimo consentito di solfiti, rispetto ai vini non bio. I rossi potranno contenerne fino a 100 milligrammi/litro, i bianchi e i rosati fino a 150 milligrammi/litro (con una deroga verso l’alto per i vini dolci). Queste quantità sono molto più elevate di quelle normalmente impiegate dai vignaioli che producono vini naturali (siano essi certificati da agricoltura biologica o meno); talmente elevate che risultano quasi irrilevanti da un punto di vista della tutela della salubrità.

Fino alla vendemmia 2011, non esistevano vini “bio”. La certificazione biologica o biodinamica era limitata all’agricoltura, e dunque alle uve. Proprio ciò che accade dalla raccolta delle uve in poi è stato per tanti anni l’oggetto del contendere. Si è sempre obiettato, giustamente, che uve bio non possono essere vinificate con tecnologie e additivi enologici utilizzati anche dai vini convenzionali.
Il nuovo regolamento – come temevano molti addetti ai lavori – sdogana dunque il termine biologico in tutto e per tutto anche per quei vini prodotti in modo tutt’altro che naturale (acidificati, deacidificati, chiarificati, aggiunti di lieviti ed enzimi industriali, ecc…). Così facendo, non si tutela in nulla il consumatore, ma anzi lo si trae in inganno: da adesso in poi, chi comprerà vini ufficialmente bio (convinto di essere finalmente garantito da questo marchio e dal suo logo), acquisterà gli stessi prodotti che prima erano certificati solo con l’espressione “da uve da agricoltura biologica”, dunque non necessariamente “puliti” in tutte le fasi della loro produzione.

Ma questa è solo una parte della cattiva notizia. L’altra parte – molto più ufficiosa e meno sbandierata -, è che i vignaioli che producono già da tempo vini puliti dal vigneto alla bottiglia, e per questo motivo li definiscono vini naturali (essendo impossibilitato a chiamarli biologici), sempre più spesso si vedono contestare e reprimere questa dicitura dalle autorità competenti. Qualcuno di loro è stato multato con varie motivazioni, incluso il presunto abuso della dicitura “naturale”. (Brutto) segno di un atteggiamento sempre più miope e autoritario di istituzioni e mercato, ovvero dei grandi poteri, che non si accontentano più di mettere in campo una legislazione asservita alle loro logiche e ai loro interessi, ma iniziano a reprimere e intimorire il dissenso (sia esso manifestato o agito). E questo può solo preoccuparci.

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