di Samuel Cogliati
agosto 2020
«Ciò che la pandemia mi ha insegnato è di lasciar andare le cose, di rendermi conto di quanto poco ho bisogno. Non ho bisogno di comprare, non ho bisogno di più vestiti, non ho bisogno di andare da nessuna parte o viaggiare. Penso di averne troppo. Mi guardo intorno e mi chiedo perché tutto questo. Perché ho bisogno di più di due piatti?
Quindi scopri chi sono i veri amici e le persone con cui voglio stare.
Cosa pensi che la pandemia ci insegni a tutti?
Ci sta insegnando le priorità e ci sta mostrando una realtà. La realtà della disuguaglianza. Come alcune persone passano la pandemia su uno yacht ai Caraibi e altre persone muoiono di fame.
Ci ha anche insegnato che siamo una famiglia.
Quello che succede a un essere umano a Wuhan, succede al pianeta, succede a tutti noi. Non esiste questa idea tribale che siamo separati dal gruppo e che possiamo difendere il gruppo mentre il resto della gente se ne frega. Non ci sono muri, non ci sono pareti che possono separare le persone.
I creatori, gli artisti, gli scienziati, tutti i giovani, molte donne, stanno prendendo in considerazione una nuova normalità. Non vogliono tornare a ciò che era normale.
Si chiedono quale mondo vogliamo. Questa è la domanda più importante in questo momento.
Quel sogno di un mondo diverso: dobbiamo andare lì. E rifletto: a un certo punto mi sono resa conto che si viene al mondo per perdere tutto. Più a lungo vivi, più perdi. In primo luogo stai perdendo i tuoi genitori, a volte persone molto care intorno a te, i tuoi animali domestici, i luoghi e anche le tue facoltà».
attribuito a Isabel Allende
Sottoscrivo parola per parola la visione di Isabel Allende (a patto di non equivocarla per fatalismo o negare il virus). Facevo parte di coloro che pensavano, o speravano, che la pandemia ci avrebbe indotti a mettere in profonda discussione il nostro modo di vivere. Dall’inizio del confinamento ho smesso di comprare, se non generi indispensabili e cultura: libri, musica, film. Ho smesso di vagheggiare viaggi e fughe lontane, se non in quei pochi luoghi che mi stanno a cuore per motivi specifici e personali. Di tutto il resto non so che fare.
Credevo che sarebbe stato così per molti, che sarebbe avvenuto un ripensamento radicale della nostra società. Invece vedo una moltitudine di persone che non voleva altro che tornare a fare esattamente ciò che faceva prima, ma con più foga, quasi con rabbia. Quasi si trattasse di un legittimo risarcimento per un torto subìto. Quale? Esserci protetti?
Così si è rimesso in moto quell’ansioso spasmo a comprare, con quella convinzione che la libertà sia fare sempre tutto ciò che ci piace e non avere intralci nello spendere come e quando vogliamo i nostri soldi. Uno spasmo a consumare, consumare, consumare. Senza pensare che ciò che si consuma finisce. Sì, siamo consumatori, e stiamo consumando questo mondo.