di Giorgio Fogliani
• luglio 2023 •
Nella prima parte dell’articolo vi ho raccontato come un gruppo di vignaioli cirotani ha lavorato alla zonazione del suo territorio. Ecco che cosa hanno realizzato a valle della vendemmia 2019.
Da ciascun appezzamento sono stati raccolti 100 kg d’uva (vendemmia tra fine settembre e inizio ottobre), diraspata e vinificata in piccoli tini; 5 giorni sulle bucce con una follatura manuale al giorno; svinatura; leggera pressatura a mano; affinamento in damigiane da 54 litri, leggerissima solfitazione e imbottigliamento dopo un anno (2020); tappatura a corona.
Nel mio ultimo viaggio a Cirò (aprile 2023), ho assaggiato otto di questi nove vini ed è stato piuttosto impressionante notare con quanta plasticità si stagliassero i diversi profili. Oltre a essere piuttosto buoni (almeno tre davvero molto buoni), tutti rimandavano chiaramente a Cirò – o quantomeno, all’idea che in questi anni me ne sono fatto –, ma ciascuno col proprio accento: la leggiadra scorrevolezza del vino di Caraconessa, la rusticità del Vallo, le note quasi ossidative della Piciara, il carattere sanguigno di Valle di Casa, quello etereo della Mortilla, il frutto delle Terre rosse (Salico), per finire con la potenza e il tannino dei due vini provenienti dalle colline sul Lipuda: più ruggente Donniciccio, più raffinata Sant’Anastasìa. Ancora più interessante scorgere somiglianze tra alcuni di questi campioni e i vini abitualmente prodotti dai vignaioli proprietari della vigna di provenienza (un esempio: la microvinificazione della Piciara ricordava, alla cieca, un cirò di Sergio Arcuri). Come a suggerire un’identità forte e precisa delle singole vigne.
Perché allora, ci si potrebbe chiedere, non partire lancia in resta con un progetto di cru volto a fissare i nomi delle sottozone nell’immaginario dei consumatori, nonché probabilmente di garantire prezzi maggiori? Oltre a una generica cautela (si tratta, in fondo, di un esperimento, per quanto ben condotto), una ragione tecnica la suggerisce Francesco De Franco (‘A Vita): «Il tentativo è riuscito così bene grazie all’annata 2019, che è stata particolarmente buona (cioè fresca)». Un’annata squilibrata invece rischierebbe di dare qualità molto diverse tra le varie zone, rendendo più indicato assemblarne le uve. Le vigne in collina, in particolare, soffrono molto le annate siccitose, mentre nei terreni più ricchi la preoccupazione è, al contrario, contenere la vigoria delle piante; i fondovalle, invece, patiscono le annate umide per ragioni fitosanitarie.
Ecco allora il senso profondo di una zonazione: prendere coscienza delle diverse espressioni e potenzialità del proprio territorio per poi valutare, di volta in volta, l’opzione dell’assemblaggio di diversi terroir o la loro vinificazione separata.
Il tempo – un tempo lungo, presumo – dirà se sarà il caso di istituzionalizzare questo lavoro o se continueremo semplicemente a parlare di Cirò tout court, ma con una consapevolezza diversa. •