di Giorgio Fogliani

• luglio 2023 •

Un approccio maturo e collettivo alle vinificazioni “parcellari” (e dei cirò davvero buoni)

Prima parte

Vinificare separatamente singole vigne, cru o sottozone è un’abitudine sempre più diffusa. Vecchio pallino di Luigi Veronelli, tra i primi a tematizzare questa pratica in Italia, il suo successo è legato da una parte a una ritrovata sensibilità verso ciò che si suole chiamare “territorio”, dall’altra al successo planetario della Borgogna, che di questa pratica si è fatta capofila e su di essa ha costruito la propria narrazione (1), benché non ne abbia certo l’esclusiva (questo approccio è radicato anche altrove); lo stesso aggettivo “parcellare” è un calco del francese parcellaire, che viene da parcelle (appezzamento).

Ho la sensazione che questo modo di procedere, che di per sé è virtuoso, stia però diventando un tic, basato sull’assunto che «trasporre il territorio in bottiglia» – vera ossessione di ogni vignaiolo del XXI secolo – passi necessariamente per una sua scomposizione in parti il più piccole possibile, meglio se ben identificabili dal punto di vista geologico. Una convinzione fondata, certo, ma che non deve diventare un dogma né tantomeno uno slogan. Non mancano del resto gli esempi di vini frutto dell’assemblaggio di terroir diversi che non sono né meno buoni né meno “territoriali” di vini da singole vigne, cru o sottozone. Né si può dire che il dibattito sul tema sia nuovo – nelle Langhe, per esempio, la fazione partigiana dell’assemblaggio di quelle che oggi si chiamano MGA ha annoverato esponenti illustri –, ma l’impressione è che il mondo del vino si stia muovendo, oggi, nella direzione opposta.

Il punto sta probabilmente, ancora una volta, nel come e nel perché. Come si procede alla zonazione, come si vinificano le singole vigne e perché lo si fa: per capire meglio un territorio o solo per venderlo meglio?

Un caso illuminante è quello di Cirò, un angolo d’Italia che non smette anno dopo anno di regalare vini buoni e dalla forte personalità. Per quanto non molto esteso, l’areale cirotano (2) è piuttosto eterogeneo, perché alterna zone pianeggianti e collinari, costiere o più interne, suoli argilloso-calcarei a forte rischio stress idrico e terreni più ricchi e fertili.

Una zonazione viticola ufficiale di Cirò esiste dal 2002 (3), e sulle sue basi nel 2019 un gruppo di vignaioli ha individuato nove vigneti, in nove luoghi diversi, di cui ha scelto di vinificare le uve (100% gaglioppo) a parità di condizioni: tutte e nove le vinificazioni si sono infatti svolte nella stessa cantina e seguendo il medesimo protocollo. Un progetto condiviso, quindi, pensato essenzialmente a scopo conoscitivo e non destinato a uno sbocco commerciale: «Quello che ci interessava – spiegano i vignaioli – era verificare alcune impressioni che già avevamo “a pelle” a proposito delle diverse sottozone di Cirò; capire se alcune caratteristiche dei vini che credevamo di individuare fossero effettivamente ascrivibili alla zona e non invece, magari, allo stile di chi vinificava».

Ecco l’elenco delle nove vigne selezionate (e dei loro viticoltori): 

  • Donniciccio (Cataldo Calabretta), sulle colline argilloso-calcaree (suoli poveri e a rischio stress idrico) che sovrastano il torrente Lipuda, esposte a nord-ovest; 70 m slm, vigna di 25 anni ad alberello.
  • Santa Anastasìa (‘A vita), sull’altro versante delle stesse colline (esposizione sud), 40 m; vigna di 20 anni ad alberello.
  • Brigante (Rocco Pirìto), zona collinare a ovest di Cirò, nell’entroterra, 200-350 m, suoli argilloso-limosi ricchi di sostanza organica; vigna di 10 anni allevata a cordone speronato.
  • Mortilla (Dell’Aquila), zona collinare a sud di Cirò, con esposizione ovest; suolo argilloso, ricco; vigna di 20 anni a cordone.
  • Caraconessa (Francesco Fezzigna), sul limite occidentale della doc, all’inizio della valle del Lipuda (20 m); suoli limoso-ciottolosi; vigna di 30 anni a cordone.
  • Sàlico (Mariangela Parrilla, Tenuta del Conte), nella parte settentrionale della doc, le cosiddette Terre rosse, terrazzi antichi sprovvisti di calcare, affacciati sul mare; vigna di 40 anni a cordone.
  • Piciara (Sergio Arcuri): è il cuore del Fego (o Feudo), la fertile pianura costiera compresa tra la Statale 106 e il mare; i suoli argillosi sono generati dal dilavamento delle colline interne, ma la giacitura pianeggiante garantisce maggiore disponibilità idrica e permette rese per ettaro e vigoria maggiori; vigna di 70 anni ad alberello.
  • Valle di Casa (Cote di Franze), il prolungamento meridionale del Fego, sulla costa (20 m dal mare); suolo franco-argilloso ricco in limo, fertile; vigna di 70 anni ad alberello.
  • Vallo (Salvatore Mazzone), zona pianeggiante sotto l’abitato di Cirò, umida e fresca; suoli ricchi, argilloso-limosi; vigna di 40 anni a cordone.


Nella seconda parte dell’articolo il racconto dei vini e il bilancio dell’esperimento. •

fogliani@possibiliaeditore.eu

(Nella Cirò viticola – fotografie © Giorgio Fogliani)

(1) In maniera non esente da ombre, vedi Borgogna, il terroir e il mito, a cura di Samuel Cogliati, Possibilia 2021.

(2) Per approfondire: Giorgio Fogliani, Cirò. I luoghi del gaglioppo, Possibilia 2017.

(3) Carta dei suoli e zonazione viticola del Cirò Doc, monografia divulgativa a cura della regione Calabria e dall’ARSSA (Azienda regionale per lo sviluppo e per i servizi in agricoltura).