(foto di Samuel Cogliati)
Mendoza cabernet sauvignon 2011
I bordolesi hanno motivo di preoccuparsi?
di Samuel Cogliati
dicembre 2015
Non so nulla di vini argentini. Sarà la quinta o sesta volta che ne assaggio uno. E a dirla tutta, mi sono avvicinato a questa bottiglia con un po’ di reticenza e di pregiudizio, ovviamente negativo.
La bottiglia non dev’essere di quelle memorabili né proposte a un prezzo proibitivo; forse di moderata ambizione. Peraltro è frutto del lavoro di un’azienda che, sulla carta, ispira poco il mio infallibile intuito. Troppo grande, penso, troppo commerciale. Infatti le verifiche ex post mi confermeranno che si tratta di un’azienda di oltre 450 ettari complessivi, distribuiti su due siti produttivi nella regione di Mendoza, nell’Argentina centro-occidentale. Per di più, il profilo ampelografico non brilla per originalità: è un cabernet sauvignon come ce ne sono decine, forse centinaia di migliaia nel mondo. In poche parole: doveroso preconcetto.
Questo è l’esito della degustazione:
Mendoza cabernet sauvignon “Tomero” Vistalba 2011
Naso piuttosto stilizzato sul vitigno, di evidente ma garbata concentrazione, con una certa discrezione e finezza. Bocca rotonda e carnosa, potente. Bei tannini levigati, piacevole calore alcolico nel finale. Un tocco di cioccolato. Vino tenero e preciso. Ha fermezza, robustezza e nettezza.
Da servire a 15°C.
Questo invece è quanto l’azienda ci dice sul suo sito internet: il Tomero proviene dalla Finca Los Alamos, nel territorio di Tupungato, un’area 135 km a sud-ovest di Mendoza, a quasi 1.200 metri d’altitudine, nell’alta valle de Uco. Pendii di modesta entità (3%), irrigazione consentita; il terroir è costituito da terrazzi alluvionali e suoli leggeri, sabbiosi; le escursioni termiche sono importanti, la potatura è Cordon Royat a spalliera. In tutto, il cabernet copre oltre 60 ettari delle tenuta. La vendemmia è manuale, in cassette da 20 kg. Le fermentazioni avvengono in cemento; l’affinamento di 9 mesi in acciaio per l’80%, in barrique usate per il restante 20%. Dopo l’imbottigliamento, altri 4 mesi di affinamento in vetro prima della commercializzazione. Il grado alcolico dell’annata 2011 è di circa 15%, ma non si fa sentire gustativamente. Il pH delle tre annate seguenti è sempre molto alto (3,6-3,7).
Sulla carta, il Tomero non sembra avere particolari motivi per stupirci. Invece la degustazione, per tutta la durata della serata, in abbinamento con una bavette in padella, è stata convincente. Peccato non aver potuto saggiarne il comportamento l’indomani; forse ci avrebbe fornito qualche elemento ulteriore.
Il prezzo di vendita di questa bottiglia rilevato online in alcune enoteche britanniche e statunitensi oscilla tra l’equivalente di 12 e 16 €, e Vistalba non la presenta tra le etichette “di prestigio” della sua gamma, bensì tra quelle che gli anglosassoni, ben più attenti di noi alla vinicoltura del Nuovo Mondo, chiamano entry level. La domanda è: a Bordeaux devono preoccuparsi? Non si tratta certo di una domanda originale né nuova, ma è per me inevitabile. Non mi riferisco ai petit bordeaux bas de gamme che inondano qualunque supermercato d’Oltralpe a un prezzo paragonabile al Tomero – quelli sarebbero in buona parte spazzati via da questa concorrenza. Mi riferisco agli château di medio livello, ai cru bourgeois meno talentuosi, nonché a vari second vin di proprietà piuttosto note, che impongono in genere prezzi sensibilmente più elevati del concorrente argentino.
La risposta è probabilmente banale, ma occorre aggiungere un dettaglio: forse più che preoccuparsi potrebbe essere utile correre attivamente ai ripari, sia in vigna sia in cantina.
Ogni tanto fa bene mettere il naso fuori dall’Europa, per accorgerci che, neanche nel mondo del vino, rappresentiamo più una salda certezza indiscussa, anzi talora una battaglia di retroguardia.