di Giorgio Fogliani

• luglio 2022 • 

Da 20 anni il vino dell’Etna continua a crescere, tanto in popolarità quanto nei numeri (+242% gli ettari vitati, per citarne solo uno). Il sonnolento paradiso perduto dell’inizio del Duemila sembra imparagonabile alla fremente regione odierna, in cui le aziende si moltiplicano e i prezzi dei vigneti, sempre più rari, salgono.

A questo cambio di marcia è corrisposta anche un’evoluzione normativa. Per più di 30 anni, dal 1968 al 2011, il disciplinare era rimasto invariato, poi due grandi novità: l’introduzione delle “contrade” e quella dello spumante (oltre al meno fortunato “rosso riserva”). Una nuova riforma, in vigore da inizio 2022, ha introdotto alcuni cambiamenti importanti, anche se quelli più sostanziali sembrano in procinto di arrivare (per fine anno o per il 2023).
Sono, val la pena dirlo, in gran parte novità positive.

Un primo gruppo di riforme corregge alcuni passaggi dei precedenti disciplinari:

  • L’Etna bianco superiore non avrà più l’assurdo tetto massimo di 7 g/l dell’acidità totale. Normalmente i limiti all’acidità riguardano solo il minimo, e questo caso era tanto più insensato in quanto l’acidità è, per il carricante, una risorsa e una caratteristica. Come commenta Salvo Foti, «il limite obbligava paradossalmente alcuni produttori in certe annate a disacidificare i vini per restare all’interno della Dop: un controsenso». «Nessuno si sa spiegare come questo parametro fosse entrato nel disciplinare», commenta Antonio Benanti, presidente del consorzio al momento della stesura della riforma.
  • Il comune di Ragalna sostituisce quello di Paternò: «una correzione “tecnica”», spiega Foti: «al momento della prima stesura del disciplinare Ragalna era frazione di Paternò». (Nel 2011 deve essere sfuggito…)
  • Viene finalmente inserita una densità minima di impianto, che sarà pari a 4.600 ceppi per ettaro, il che rafforza la nozione di limitazione delle rese: «Stabilire che non si possono produrre più di 90 q/ha non ha senso se non si stabilisce anche quante piante possono esserci in un ettaro. Gli stessi 90 q/ha ottenuti da 2.000 o da 10.000 piante danno vini molto diversi», spiega ancora Foti, che teneva molto a questa norma.

Un secondo pacchetto sembra invece più teso a modernizzare l’Etna:

  • Saranno ammessi tutti i tipi di chiusura delle bottiglie ad eccezione delle tipologie bianco superiore e rosso riserva che saranno ancora vincolate al cosiddetto tappo “raso bocca”. Vedremo quindi etna bianchi e rossi con il tappo a vite, come accade sempre più di frequente per molti vini, specie fuori dall’Italia.
  • Banditi invece i contenitori non di vetro (quindi niente bag in box) e quelli di vetro superiori ai 3 litri che non siano bottiglie di forma bordolese, borgognotta o renana. Una limitazione alla circolazione dello sfuso in damigiana, come nota Alberto Aiello Graci, ma anche «a certe bottiglie di forme assurde o pacchiane che si vedevano di tanto in tanto», precisa Benanti.
  • Spumanti e rosati avranno un titolo alcolometrico minimo di mezzo punto percentuale più basso, mentre la definizione del colore del rosato passa da «rosato tendente al rubino» a «rosato più o meno intenso anche con riflessi aranciati». Una precisione che lascia maggiore libertà d’espressione ai produttori ma che sembra anche assecondare la tendenza, sull’Etna, a produrre rosati sempre più leggeri.

Sarà poi consentito, come espressamente previsto dalla Dop Sicilia, menzionare la Sicilia in retroetichetta: una norma apparentemente di poco conto, perché si presume che chi compra una bottiglia di etna sappia già in che regione si trova… Ho però il sospetto che in alcuni settori di mercato (grande distribuzione?) e per aziende grandi, che hanno costruito la propria fama sul fortunatissimo “brand Sicilia”, questa norma possa non essere del tutto inutile. Inoltre, come precisa Benanti, questo allineamento potrebbe consentire alla Dop Etna di accedere a bandi o finanziamenti destinati alla regione.

Un’altra novità riguarda gli spumanti, che virano sempre più verso il blanc de noirs: il minimo di nerello mascalese passerà infatti da 60% a 80%. Spiega Maurizio Lunetta, direttore tecnico del consorzio etneo e coordinatore di queste riforme: «Il nerello mascalese si è scoperto vocato alla spumantizzazione e questa sua capacità di caratterizzare gli spumanti è piaciuta». Si tenta quindi di beneficiare il più possibile non solo della crescente fama dell’Etna ma anche di quella del suo vitigno principe, anche se – mi sembra – la storia dei vini effervescenti, a tutte le latitudini, indurrebbe a lasciare una maggiore libertà sulle uve da scegliere e sul come combinarle.

Rimanendo sul tema del metodo classico, qualcuno si starà forse chiedendo perché non sia mai stata varata una tipologia blanc de blancs incentrata sul carricante, che sulla carta non dovrebbe avere minore vocazione spumantistica rispetto al nerello. Proprio questa è una novità da aspettarci nella prossima, imminente modifica al disciplinare. «I tempi sono maturi e l’assemblea è d’accordo», precisa Benanti, che da tempo produce uno spumante da quest’uva: «gli ettari di carricante sono triplicati rispetto a dieci anni fa e il vitigno gode di maggiore conoscenza e considerazione». •

Leggi la seconda parte.

fogliani@possibiliaeditore.eu

[fotografia: un vecchio vigneto del versante nord dell’Etna, piantato a 10.000 ceppi per ettaro © Giorgio Fogliani]