(fotografia © Samuel Cogliati)
La crescita del vino britannico è una realtà con cui fare i conti
di Samuel Cogliati
dicembre 2020
Forse non è ancora un Rinascimento né un ritorno ai fasti del Medioevo, quando la Britannia poteva contare su un ampio e strutturato reticolo di produzione vitivinicola. Tuttavia la crescita che i vini del Regno Unito hanno registrato nel nuovo millennio, e in particolare negli ultimi cinque anni, è impressionante. Crescita quantitativa: nel 2007 la superficie vitata era di poco più di 700 ettari, mentre nel 2015 era salita a 1.956 ettari, stimati oggi in approssimativamente 2.400 ettari e circa 300 produttori, con una produzione globale che veleggia ormai attorno a 50mila ettolitri l’anno (equivalenti a quasi 7 milioni di bottiglie). Ma anche crescita qualitativa: definire “buono” un vino made in Great Britain non è più una barzelletta. Questa produzione può peraltro ormai contare su due riconoscimenti d’origine ufficiali: English (o Welsh) Quality Wine (DOP) e English (o Welsh) Regional Wine (IGP).
Quando qualche anno fa iniziai a far degustare a lettrici/tori e corsiste/i qualche English sparkling wine, ovviamente alla cieca, la sorpresa era generale, ma a fine serata veniva archiviata come una simpatica curiosità. (Anche se, nei fatti, qualcuna di queste bottiglie surclassava facilmente alcuni champagne).
La spumantizzazione resta di gran lunga il settore trainante della nuova vitivinicoltura britannica. Lo dimostra anche la scelta dei vitigni, con due cultivar champenoises in vetta alla classifica dei più diffusi: chardonnay (517 ettari nel 2015) e pinot noir (483 ettari). Anche il meunier (123 ettari) guadagna terreno, mentre arretrano gradualmente gli ibridi e altre varietà teutoniche “di compromesso” che rappresentavano il grosso della produzione anglo-gallese sino a qualche anno fa (bacchus, seyval, reichensteiner, rondo, ecc.).
Degli sparklings di Gusbourne Estate scrissi nel 2012, folgorato da un livello qualitativo insospettabile. Negli anni questi metodi classici del Kent si sono sempre confermati di alto livello. Ma quando alcuni mesi fa mi sono accorto che l’azienda di Appledore aveva finalmente compiuto il passo che attendevo da tempo – osare nella produzione di vini fermi –, non ho resistito alla tentazione di assaggiarli e ho chiesto dei campioni. Dei tre vini, bianco, rosato e rosso, mi sono stati inviati gli ultimi due e, per quanto li abbia assaggiati (a etichetta scoperta) con una certa benevolenza preconcetta, sono rimasto sorpreso di vederli andare al di là delle aspettative.
Non è questa la sede per affrontare un ampio e strutturato discorso sul futuro della vite nel Regno Unito (né ne ho gli strumenti necessari). Nemmeno voglio generalizzare un caso che, per quanto eloquente, potrebbe anche essere ritenuto se non isolato, fortunato. Comunque sia, queste sono le mie note di degustazione di quattro mesi fa.
Cherry garden vineyard rosé Gusbourne 2019
Bel colore rosato fior di pesco vivo e intenso.
Naso tecnico e lineare, ma fragrante, appena pepato e con un tocco molto beaujolais. Frutta croccante, sfumatura fumé.
Impatto croccante e rinfrescante, allungo minuto e gradevolmente sapido, chiusa appena rugosa di tannino. Ottima corrispondenza. Sugoso, fresco, delicatamente erboso, floreale e amarognolo.
Buon finale nitido, su note di liquirizia in radice, elegante e senza sbavature. Con un tocco di zenzero.
Vino snello e croccante, tecnico e consensuale ma non tecnicistico né varietale o caricaturale. Spigliato, unito, aggraziato, tra frutto e fiori, rinfrescante. Molto meglio di tanti rosati continentali.
[Appledore, Kent. Argilla e sabbia limosa. Esposizione sud. Pinot noir 100%. Vendemmia manuale a ottobre. Diraspato. Macerazione 4 ore. Vinificato in acciaio. Affinato in acciaio e rovere nuovo (13%). Alcol 12,5. Acidità 8,5 g/l. pH 3,41. Imbottigliato il 19 dicembre 2019]
Boot Hill Vineyard pinot noir Gusbourne 2018
Veste porpora-rubino leggero.
Naso apertamente varietale, dolce, aspro, sottile, speziato. Appena incipriato, con note di ribes, amarena e una sugosa sfumatura erbacea.
Bocca fresca, cruda, tesa, tannica, vivida, dalla grana sottile ma presente. Apprezzabile la sapidità. Buono e lungo il rilascio aromatico conclusivo. Pienamente corrispondente. Liquirizia nel finale.
Vino croccante e vinoso, molto varietale ma non banalmente caricaturale. Ha una struttura lieve ma presente, con una bella diffusione tannica e un’acidità continua.
[Appledore, Kent. Argilla e sabbia limosa. Esposizione a sud. Pinot noir 100%. Vendemmia manuale a ottobre. Pigiadiraspatura. Macerazione prefermentativa a freddo (3 gg.). Macerazione in acciaio per 14 giorni a 22 °C. Affinamento in rovere francese (20% nuovo) per 9 mesi. Alcol 12,5%. Acidità 5,4 g/l. pH 3,65. Imbottigliato il 7 agosto 2019] •
ADDENDA
Booth Hill Vineyard “Guinevere” chardonnay Gusbourne 2017
Paglierino carico ma leggero.
Impatto un po’ chiuso e laccato, con note di rovere. Lo sviluppo si fa citrino, lieve ed erbaceo, non molto espressivo.
Bocca soda, un pizzico bruciante, gustosa, allungata, fresca e tonica. Risulta un poco dura e rigida ma tattilmente avvolgente. L’allungo è fine e affusolato, con un tocco amaro leggermente tostato nella chiusa.
Un bianco elegante e di razza, d’impostazione tecnica ma non sfacciata. Alla cieca può certamente essere confuso con un bianco borgognone, chablisien o di chassagne, ad esempio.
[Appledore, Kent. Argilla e sabbia limosa. Esposizione a sud. Chardonnay 100%. Vendemmia manuale a ottobre. Pressatura soffice. Fermentazione in barrique a temperatura di cantina. Affinamento in rovere francese (20% nuovo) per 10 mesi. Alcol 12,5%. Acidità 6,4 g/l. pH 3,38. Imbottigliato a dicembre 2018] •