(immagine © www.vignerons-independants-champagne.com)

di Samuel Cogliati

2 luglio 2020

Che in Champagne non tirasse una bellissima aria si era capito da qualche mese. La data fissata per decidere le rese della vendemmia 2020 era il 22 luglio, come avevo già scritto, ma la situazione è precipitata. 
In poche parole è accaduto che, nel delicato (e generalmente fruttuoso) equilibrio tra i due principali attori regionali – négoce e viticoltori –, le maisons hanno preso l’iniziativa. Il presidente dell’Union des Maisons de Champagne, Jean-Marie Barillère, organismo di categoria che raggruppa i più grandi marchi e rappresenta oltre due bottiglie su tre, ha infatti affidato a un comunicato ufficiale la sua “proposta”: «Se la Champagne perde ad esempio 1,7 miliardi di euro, questa somma dev’essere distribuita in modo equo tra le varie attività (produzione di uve e commercializzazione). Siccome l’uva rappresenta in media il 40% del valore di una bottiglia, per una suddivisione equilibrata occorrerebbe abbassare il valore del raccolto di 680 milioni, ovvero, nelle condizioni della vendemmia 2019, stabilire una resa massima di 7.000 kg/ettaro». Ovvero molto meno, pressoché la metà, della media abituale. «Mi sembrava urgente – ha aggiunto Barillère – mettere le cose in chiaro e fare ordine. E ricordare cose di tipo bassamente economico, materiale». 

Insomma: rese dimezzate, per non avere eccessi di produzione destinata a essere invenduta nei prossimi anni, proteggendo così il prezzo delle bottiglie sul mercato. Un ragionamento che non fa una piega. Solo che i Vignerons Indépendants (VIF), che coltivano le proprie uve, le vinificano e vendono bottiglie in proprio, non la vedono allo stesso modo. Avevano chiesto due parametri differenti: una resa massima per chi compravende uva, e una più alta per i récoltants come loro, che dispongono spesso di pochi ettari e sono terrorizzati dalla prospettiva di non avere abbastanza uva nel 2020. Di fronte a una situazione per loro insostenibile, e che considerano ingiusta e iniqua, i VIF, circa 400 aderenti, quantitativamente una goccia nell’oceano della Champagne, si erano autosospesi dal SGV (Syndicat Général des Vignerons de la Champagne, associazione che rappresenta i viticoltori – tutti, non solo i VIF – in seno al Comité Interprofessionnel, CIVC), decisione che sono stati subito chiamati a rinnegare. I VIF hanno deciso di rispedire l’ultimatum al mittente e di tagliare i ponti. Così, pochi giorni fa sono arrivati con muletti e furgoni per traslocare le loro cose dalla sede del SGV.

La Champagne ha già vissuto in passato robuste frizioni tra négoce e viticoltori, specie nei periodi di crisi. Quando le cose hanno ripreso a girare bene le fratture si sono sempre ricomposte; ma a che prezzo? Quanto tempo ci vorrà? Quali saranno le conseguenze? Di certo questo 2020 sembra davvero poco propizio ai récoltants, che lamentano una continua erosione da anni, a fronte di un négoce sempre più potente.

cogliati@possibiliaeditore.eu


 

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