(fotografia © Samuel Cogliati)

di Samuel Cogliati

19 giugno 2020

La Champagne dell’èra Covid vive un paradosso. Con un vero e proprio tracollo delle vendite nei mesi di confinamento, e una previsione di –30% a conti fatti per il 2020 (la peggiore di sempre), il grande sistema champenois si confronta con una serie di scelte che fanno borbottare.

La data clou dovrebbe essere il 22 luglio, quando gli attori e le associazioni di categoria prevedono di prendere una decisione sulle rese autorizzate per l’AOP alla prossima vendemmia. Negli ultimi anni si erano allineate verso l’alto, superando una media di 130 quintali/ettaro. Quest’anno ci si aspetta che il tetto sia fissato sensibilmente più in basso, dato che la decisione deriva essenzialmente dagli umori del mercato.

Tuttavia non è scontato che questa scelta metta tutti d’accordo. Le grandi maisons, che acquistano il grosso delle uve che vinificano, potrebbero essere tentate da rese basse, in modo da non confrontarsi con un’eccedenza di materia prima. Quei viticoltori che non vinificano né vendono vino, al contrario, vedono l’abbassamento dei quantitativi massimi (dunque degli introiti) come fumo negli occhi. Alla stregua dei migliori récoltants-manipulants, le cui vendite dipendono meno dall’andamento del mercato perché sono ancorate a una clientela fidelizzata.

La cosa singolare è che, con tutte le cautele del caso, l’annata si sta prefigurando come di buona se non ottima qualità. Fattori meteorologici? Non solo. La cronista Ophélie Neiman ha raccolto qualche stato d’animo tra i produttori. Jean-Pierre Cointreau, amministratore delegato di Gosset, giura che i contratti di acquisto uve saranno rispettati, ma precisa: «Se dobbiamo comprare più uve di quante necessarie, privilegeremo i criteri qualitativi e ambientali». Un ragionamento che si sente da più parti, e che appare ovvio. François Huré (Huré Frères, vignaioli a Ludes, Montagne de Reims) assicura: «Ne usciremo producendo meno ma meglio. Abbiamo approfittato dello stop delle vendite per concentrare i nostri sforzi in vigna. Non è mai stata così bella». E non sembra l’unico ad aver dirottato le proprie energie in campagna, lavorando di più e meglio sull’approccio agronomico. Logico, ma anche sorprendente, nella più prestigiosa denominazione d’origine del mondo, con un giro d’affari miliardario e in ottima salute da tempo. Potrebbe essere la regola.

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