Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
Vai a www.possibiliaeditore.eu |
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foto di Giampi Giacobbo |
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L’insaccato
tra gusto del passato e Unione Europea Sciavoss
Il profumo della nostra gioventù.
di Giorgio Oldrini |
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Non sapremo mai con cosa era fatto, ma solo che aveva il sapore piccante
e forte di una carne misteriosa e ora anche il profumo della nostra
gioventù lontana. Si chiamava in dialetto sciavoss e assomigliava
vagamente a un salamino con un colore rosso vivo. Mio nonno Finn era
un romagnolo di Sant'Arcangelo di Romagna e ogni anno d'estate andava
a trovare amici e parenti, seguito da vicino dalla mia nonna Nita,
che lo controllava perché negli infiniti pranzi di reincontro con
cugini e sodali di antiche bisbocce non esagerasse con il vino e con
le battute salaci, immancabilmente accompagnate da crasse risate di
lui e da calcetti negli stinchi sotto il tavolo di lei.
Ma per noi il trionfo era il ritorno dei nonni. Lui telefonava qualche
giorno prima della data fatidica. «Arriviamo in Centrale alle 22,30,
venite con due macchine». Quando il treno si fermava in stazione i
più grandi di noi cugini salivano e cominciavano a passare dai finestrini
della carrozza valige, pacchi, bottiglie, scatole. Poi tutti a casa
dei nonni per la cerimonia della distribuzione alle diverse famiglie
di ogni ben di dio. Piadine fatte dalla Armida, lumachini di mare
raccolti uno per uno da Finn in persona, finocchio selvatico che il
nonno si ostinava a chiamare fenocchio, cappelletti e passatelli
che manda la Maria, polli che non hanno mai visto il mangime inventato
da quei maledetti americani, uova che profumano e soprattutto lo sciavoss
comprato da quel macellaio di fiducia nel borgo. La domenica successiva
al ritorno, tutti a mezzogiorno a mangiare dai nonni. La Nita cucinava
quintalate di pasta fatta in casa e quello che aveva portato dalla
Romagna. Il nonno raccontava di parenti e amici, di pranzi e di pettegolezzi,
la nonna sempre in agguato con il suo piede appuntito sotto il tavolo,
pronta a colpire quel “pesante”. «Ci sono i burdell», diceva,
come se noi bambini o ragazzi non fossimo pronti a ridere a crepapelle
ascoltando parolacce e battute sporche.
Il colpo durissimo, io, mia mamma, mia zia e i miei cugini lo abbiamo
avuto qualche tempo fa quando siamo andati in Romagna per un viaggio
di divertimento e di ricordo dei nonni ormai morti. Dal macellaio
di fiducia del borgo ci siamo precipitati: «Due chili di salsiccia
e un chilo di sciavoss». «Mi spiace, ma adesso è proibito produrre
e vendere lo sciavoss. Ordini della Comunità europea». È
stato come se la nostra infanzia fosse finita per sempre, maledetta
Europa. Ma cosa ci sarà mai stato dentro a quel budello rosso, piccante
e saporito di carne indefinita e di profumo di gioventù?
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foto di Samuel Cogliati |
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La lista degli ingredienti è una conquista
di civiltà e, al tempo stesso, segno di decadenza. Sapere che cosa
contenga un alimento è un diritto di ogni consumatore per tutelarsi
da frodi e rischi per la salute. Purtroppo, nella lista degli ingredienti
mancano in genere le indicazioni importanti: l'origine e il modo in
cui le materie prime sono state conservate e trasformate dall'agroindustria.
Farina di frumento o olio vegetale, ad esempio, sono informazioni
quasi futili. Quale grano? quale vegetale? di che provenienza? coltivati
in che modo? da chi? raffinati con quali tecniche? Fino al paradosso
degli aromi naturali, che non sono naturali, o dell'etichetta del
vino, che obbliga a indicare il grado alcolico (irrilevante dal punto
di vista salutare) ma non la quantità di solfiti (15 o 150 mg/l fanno
una bella differenza!) né l'acidificazione o l'uso dell'osmosi inversa
sui mosti.
In compenso, la legislazione sanitaria e alimentare sta sottraendo
al Vecchio Continente centinaia di specialità secolari, patrimonio
di cultura, di gusto, di memoria. Può anche darsi che l'adagio popolare
che «non abbiano mai ucciso nessuno» non sia veritiero, ma non saremmo
stupiti se una statistica seria rivelasse che molti prodotti agroindustriali
perfettamente “a norma” causano almeno altrettanti danni alla comunità.
Con qualche piacere organolettico in meno per tutti. (Sa.Co.)
Giorgio Oldrini, giornalista professionista
dal 1973, ha lavorato all’Unità (è stato corrispondente da Cuba
e inviato in America Latina per 8 anni), all’Ansa e a Panorama.
Dal 2002 è sindaco di Sesto San Giovanni, sua città d’origine |
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