Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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foto di Paolo Tedeschi |
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Anni ‘40: il
mondo dello spettacolo all’Avana Storie
di pistole e attori cubani Stratagemmi
per barcare il lunario con la radionovela. di
Giorgio Oldrini |
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La radionovela è nata a Cuba negli anni Trenta e Quaranta del
secolo scorso, con una lunghissima serie di puntate serali del Derecho
de nacer, torbida storia di aborti pretesi e mancati, amori e
tradimenti che sono stati i precursori delle più moderne telenovele.
Su questa epoca e su questa realtà ha scritto un divertentissimo libro
lo scrittore e sociologo cubano Reynaldo Gonzales. Il titolo, Llorar
es un placer (“Piangere è un piacere”), è di per sé un ritratto
della novela.
Cuba è sempre stata una sorta di luogo della sperimentazione della
comunicazione, che gli Stati Uniti hanno a lungo utilizzato per vedere
“l’effetto che fa”. Qui sono nate appunto le radionevalas e
all’Avana ha cominciato a trasmettere la prima televisione sperimentale,
quando nel resto del mondo non si sapeva nemmeno che cosa fosse. Tanti
anni dopo, in funzione anticastrista, dagli Stati Uniti verso Cuba
hanno trasmesso le radio “pirata” e con TeleMartì anche la prima catena
tv che da un Paese, gli Usa appunto, era indirizzata verso un altro
Paese, Cuba, per cercare di sovvertire il governo ideologicamente
ostile. Storie di pistole e di attori cubani 1
Si racconta che negli anni Quaranta il mondo teatrale di Cuba fosse
a rumore: si stava preparando una stagione straordinaria e l’attrice
stella del Paese provava da tempo un lavoro che per la prima avrebbe
ospitato al teatro Gallego - quello in cui aveva cantato persino Caruso
- il presidente, molti ministri, ambasciatori e ricchi, locali e statunitensi.
Insieme a lei un attore bellissimo e famoso, che interpretava la parte
del marito della prima donna. La trama raccontava che nella casa dei
due viveva la sorella minore di lei e alla fine la protagonista scopriva
che il marito la tradiva proprio con la sorellina. La donna, dunque,
affrontava il marito e lo accusava di essere fedifrago. Lui con un
lungo monologo cercava di giustificarsi, ma lei, disperata e gelosa,
gli sparava e lo uccideva, vendicandosi di quell’odioso tradimento.
La prima attrice era particolarmente meticolosa e professionale e
aveva preteso di iniziare con largo anticipo le prove, in modo che
nella sala del Gallego tutto si svolgesse come la serata straordinaria
meritava. Ben presto però si accorse che l’attore bello e pieno di
sé arrivava in ritardo, a volte addirittura mancava le prove e l’unica
cosa che lo preoccupava e che provava continuamente era quel suo monologo
finale, convinto che sarebbe stato la sua definitiva consacrazione.
Un lungo momento, tutto per lui, davanti al presidente, ai ministri,
agli ambasciatori, all’alta società. Naturalmente l’attrice principale
si indispettiva, lo richiamava all’ordine, cercava di obbligarlo ad
essere puntuale, a provare e riprovare tutta la tragedia. A volte
lo blandiva, altre lo insultava e il povero regista, stretto tra quei
due, cercava di mediare. Tra pianti e urla, insulti, scontri e scene
isteriche tentava di arrivare alla prima col minimo danno.
I protagonisti ormai quasi non si parlavano, se non nella finzione
del lavoro teatrale e l’odio che cominciava a correre tra le due persone
era simile a quello che minava i loro personaggi.
Ma finalmente ecco la grande serata. Il teatro Gallego era pieno come
un uovo, sul palco d’onore il presidente con la moglie, che pur di
sfoggiare una sontuosa pelliccia di visone, aveva sfidato il caldo
dell’Avana. Poi ministri e consorti, ambasciatori e qualche amante,
ricchi e donne bellissime. Il palco adornato di fiori, soprattutto
orchidee provenienti da Soroa. Un’aria da grande evento, addirittura
storica. Dietro le quinte il regista nervosissimo e i due protagonisti
uniti e divisi da un odio elettrico. Si alzò il sipario e gli applausi
scroscianti accolsero gli attori sulla scena.
Tutto si dipanava come previsto e quando la moglie cominciò a rendersi
conto del tradimento di marito e sorellina, l’odio e la gelosia furono
espressi con grande realismo. Il regista pensò che in fondo le liti
e l’avversione tra i due nella vita reale erano ottime per dare alle
loro parole una verità profonda.
Ed ecco la scena finale. La donna grida al marito: «Tu mi tradisci
addirittura con mia sorella, nella mia casa, nel mio letto!» L’attore
gonfia il petto per iniziare il monologo della sua vita. Ma lei a
sorpresa riprende la parola e gli ruba la battuta: «Sei un infame
traditore, meriti di morire subito!» Estrae la pistola e “pam, pam,
pam” lo costringe a morire. Senza monologo.
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foto di Paolo Tedeschi |
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Storie di pistole e di attori cubani 2
A quell’attore di mezza tacca era capitata le fortuna di essere scritturato
per la radionovela. Negli anni Quaranta, entrare in una di
queste soap opera era come vincere la lotteria, perché voleva dire
lavoro assicurato per un certo tempo. Facevano la fame gli attori
all’Avana in quel tempo, tranne le poche vedette. Ma da quanto
la radio cubana aveva inventato la novela con la mitica El
derecho de nacer e un numero crescente di ascoltatori si affollava
attorno agli apparecchi per ascoltare ogni sera storie di pianti e
di tradimenti, per alcuni si era aperta una nuova prospettiva allettante.
In città e campagne, alle otto della sera tutto si interrompeva e
contadini e cittadini si preparavano a dare vita al fenomeno di massa
che anni dopo Reynaldo Gonzales avrebbe definito in un suo libro come
«Llorar es un placer», piangere è un piacere.
Così, quando quell’attore di mezza tacca era stato chiamato per recitare
nella novela aveva accettato con entusiasmo. Ogni mattina alla
radio gli passavano il copione della sera, quando tutti recitavano
in diretta. Ma un giorno tremendo il nostro attore leggendo la sua
parte si rese conto che per lui era finita. Nel senso che la puntata
terminava con un rivale in amore che gli sparava con la pistola e
quindi lui sarebbe stato ucciso. E, dunque, cancellato dalla novela,
dal giorno dopo senza lavoro.
Pensò ai debiti da pagare, alla moglie e a un paio di amanti da mantenere.
Chiese al regista di cambiare il finale, di dargli almeno qualche
sera in più per arrotondare e cercare nel frattempo un altro lavoro.
Niente. «Questo è il copione e si rispetta fino in fondo. Mi spiace
per te, ma la storia finisce così, questa sera», gli disse spietato
il responsabile della trasmissione.
La sera in diretta tutto si svolse come previsto e alla fine echeggiarono
nello studio due spari: “pam, pam”. Ma sorprendentemente, invece del
silenzio della morte, le migliaia di ascoltatori sparsi per città
e campagne di Cuba sentirono una voce via via meno flebile: «Vigliacco,
mi hai sparato. Ma per fortuna non mi hai ucciso, mi hai solo ferito».
Un’altra sera di lavoro assicurata. Storie di pistole
e di attori cubani 3
Il testo del libretto gli era arrivato qualche giorno prima della
puntata. Lui lo aveva letto dapprima distratto, poi via via più preoccupato.
Alla fine aveva capito che quella sarebbe stata la sua ultima serata
nella radionovela, ucciso in una rissa da bar, colpito al petto
da un colpo di pistola sparato da un rivale in amore. Aveva recitato
a lungo in quella novela, tanto che ormai i giornali lo intervistavano
e per strada non pochi riconoscevano la sua voce. Aveva speso tutto
quello che aveva guadagnato, fidando nel fatto che il suo ruolo sarebbe
durato a lungo e quindi le entrare sarebbero state assicurate ancora
per mesi. Almeno. Ma quel giorno capì che per lui stava finendo e
senza la presenza quotidiana - anzi serale - avrebbe dovuto cercarsi
un nuovo ruolo e un lavoro altrove. Così decise di prendere le contromisure.
Andò da un suo amico giornalista di Bohemia, il settimanale
più alla moda di Cuba, il più antico in lingua spagnola del mondo
intero. E rilasciò una lunga intervista sul suo ruolo nella novela.
Gli amori di cui era protagonista, le donne che lo accompagnavano,
la sua voce popolarissima che, secondo quanto assicurava, era ormai
parte della vita di tanti cubani. Proprio per questo, diceva, avrebbe
continuato a lungo a strappare sospiri e lacrime dalle onde della
radio.
Un paio di giorni dopo, Bohemia fu in edicola, con la foto
dell’attore che permetteva a molti di collegare il suo viso a quella
voce maschia e profonda, capace di far innamorare mogli e amanti nella
finzione e tante radioascoltatrici in tutte le città e nei villaggi
di Cuba.
Quando il direttore della radio vide quell’intervista andò su tutte
le furie. «Chi crede di essere quel cretino? Senza di noi non è nessuno!
Vuole forse ricattarci?» Era ancora mattina quando l’attore fu chiamato.
Non dal direttore, ma dall’ufficio paga. «Il suo lavoro è finito,
questi sono i suoi soldi. Addio». «Ma - disse lui sconcertato con
la sua voce profonda - e la novela?» «Non si preoccupi», fu la risposta
secca. La sera, lui come migliaia di altri cubani accese la radio.
Un attore, lugubre e dolente, annunciò alla moglie del protagonista:
«Purtroppo ieri sera tuo marito è stato ucciso con un colpo di pistola
in un bar del porto durante una rissa». Lei pianse un po’ in scena,
e l’attore defunto, a casa, altrettanto. Privato persino della sua
morte. Giorgio Oldrini, giornalista
professionista dal 1973, ha lavorato all’Unità (è stato corrispondente
da Cuba e inviato in America Latina per 8 anni), all’Ansa e a Panorama.
Dal 2002 è sindaco di Sesto San Giovanni, sua città d’origine |
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