Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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foto di Lucia Del Chiaro |
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Tassonomia,
identità e sintesi culturale in cucina Wo
bleiben die Makkaroni Wurst? A
lezione dal piatto focale della mensa sassone. di
Lucia Del Chiaro |
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In Italia, nei negozi per turisti, si vedono spesso poster con tutti
i tipi di pasta possibile e immaginabile: rigatoni, farfalle, fusilli,
penne, mezze penne, zite, mezze maniche, spaghetti, tagliatelle, lasagne,
cannelloni, bavette, trenette, pappardelle, pasta rigata e liscia,
pasta lunga o corta, all’uovo o di semola, fresca o secca, ripiena
o no. Tortelli, tortellini, ravioli, cappelletti, agnolotti, fino
agli gnocchi, che sono di patate ma funzionano da primo piatto e quindi
possono tranquillamente stare insieme alla pasta.
Ogni ricetta richiede la “sua” pasta: spaghetti allo scoglio, farfalle
al salmone, tagliatelle al ragù. E ogni pasta ha le sue regole: non
si rompono gli spaghetti, non si tagliano le tagliatelle con il coltello
prima di mangiarle. E così, il turista entra nel negozio e compra
il poster, scoprendo che ciò che chiama Nudeln possono essere
cinque o sei cose diverse e quello che chiama Makkaroni sono
penne o rigatoni.
Un italiano che arrivi in Germania è posto davanti a un quesito simile.
In Germania si può andare a un chiosco per strada e ordinare un panino
con la tipica salsiccia tedesca. Quale?
Un Bratwurst se la salsiccia è rossa, tozza e arrostita. Si distingue
a seconda delle regioni di provenienza, prendendone il nome: Coburger,
Fränkische, Kulmbacher, Nürnberger, Nordhessische, Th üringer
(il migliore, a detta dei più) e Würzburger. Ma potrei
benissimo essermene dimenticato qualcuno.
Esiste anche una “finta variante esotica” tipicamente
Berlinese: il Currywurst, inventato da una signora della capitale
dopo la Seconda Guerra Mondiale. Dell’India porta soltanto la
spezia principale: non pare che il Wurst sia il cibo più consumato
a New Delhi.
Se però non si desidera un Wurst arrosto ma bollito, allora
è necessario andare verso un altro tipo di insaccato: il Bockwurst.
Il Bockwurst assomiglia al Bratwurst (ma non ditelo mai a un tedesco)
solo è più lungo e più fi ne, è af umicato
e si mangia lesso si chiama anche Knacker o Rote Wurst.
Analogamente “acquatico” è il Frankfurter che non
va cott o ma soltanto scaldato in acqua calda per pochi minuti. Il
Frankfurter è un Wurst “piccolo” e per questo motivo
è chiamato Würstchen, diminutivo di Wurst.
Molto simile al Frankfurter è il Wiener Würstchen, una
salsiccia lunga e sottile che in Austria è anche chiamata Würstel.
Quello che in generale conosciamo in Italia.
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foto di Lucia Del Chiaro |
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Tutto questo avviene in un chiosco, ma nella grande distribuzione
si può osare molto di più. In un supermercato tedesco che si rispetti
oltre ai Wurst sottovuoto esiste il bancone dei Wurst. Occupa in generale
lo stesso spazio che da noi occuperebbe quello del pesce, bancone
che in Sassonia non esiste.
Al bancone, una signora rosea e generalmente assai formosa brandisce
un forchettone e chiede «Kann ich etwas für Sie tun?», («posso fare
qualcosa per lei?»). E allora si può andare con la fantasia. I Wurst
sono decine.
La traduzione del termine Wurst non è “salsiccia” ma “insaccato” e
quindi il salame è un Wurst, e anche la mortadella lo è.
Analogamente alla mortadella, esistono tantissimi Wurst “affettabili”
che variano per composizione e colore, e perfino quanto alla forma.
Se ne possono contare una cinquantina di tipi diversi in pochi metri
quadrati: una varietà che in Germania gareggia soltanto con il reparto
dei cetrioli sottaceto.
Può capitare che il Wurst sia perfino spalmabile, e allora si chiama
Leberwurst e contiene un po’ di fegato di maiale; si mangia con pane
e abbondante burro, in modo da arrotondarne il sapore. Per i bambini
vanno per la maggiore i Wurst a forma di orsetto, che si chiamano
Bärchenwurst (orsetti Wurst, non fa una piega).
Le fette sono spesse e già pronte, vengono infilzate e messe sulla
bilancia, ma il Wurst non si compra a peso: si compra a Stücke, pezzi.
È per questo motivo che i turisti tedeschi in vacanza sul lago di
Garda sono sconvolti quando chiedono «tre fette di prosciutto» e si
vedono consegnare dei veli trasparenti, buonissimi e carissimi. Il
Wurst è fatto con materiale generalmente povero e i tedeschi stanno
attentissimi alla loro spesa; per questo nessuno di loro concepisce
il prezzo di un etto di San Daniele o perfino di salame toscano.
Esiste la possibilità di un incontro gastronomico fra questi due mondi
apparentemente così lontani? Esiste un piatto cerniera, che sancisca
la fratellanza universale fra i popoli, così come a Mazara Del Vallo
esiste il cous cous di pesce, come a Marsiglia c’è il taboulé, a Palermo
la pasticceria araba, a Chicago gli spaghetti napoletani con le polpette
e a Livorno il cuscussù? Esiste.
Ecco la ricetta: Prendete un pacco di penne, di marca ignota, possibilmente
della Germania orientale, possibilmente non rigate. Sopra troverete
la scritta Makkaroni, non credetele. Accendete la piastra elettrica
sotto alla pentola, non sperate di avere un fornello a gas a disposizione,
non se ne parla neanche. Stessa cosa per il sale grosso. Raro e costoso.
Sostituitelo con del salgemma fino, ma state attenti con la dose.
Quando l’acqua bolle buttate le penne.
Nel frattempo prendete un paio di Wurst qualsiasi, meglio se diversi
fra di loro, per dare brio alla ricetta. Fateli a dadini e, dopo aver
scaldato la padella con olio di semi, fateli rosolare. Controllate
la cottura della pasta: le penne devono collassare, scuocere, perdere
ogni consistenza. Scolatele e conditele con la dadolata di Wurst e
della salsa di pomodoro a piacere, meglio se Ketchup. Infine, spolverate
con abbondante gruviera grattugiato. Avete appena creato la Makkaroni
Wurst, cavallo di batt aglia di qualsiasi mensa sassone. Buon appetito!
Lucia Del Chiaro vive a Dresda. Biologa
di formazione, lavora in un’azienda farmaceutica e per lavoro gira
il mondo
Il sommelier alle prese con i MW
I Makkaroni Wurst sono una ricetta piuttosto impegnativa per scovare
l’abbinamento enogastronomico ideale. Ma siccome abbinare un vino
a una pietanza è ormai una necessità, il sommelier è chiamato a ponderare
con attenzione una moltitudine di variabili.
1°: la consistenza delle nostre penne lisce “Ossie”. Quest’elemento
allontana la possibilità di abbinare fruttuosamente un vino bianco,
“liscio” di suo per l’assenza del tannino: il rischio è la ridondanza.
In questi casi (2°), ci si rivolgerebbe al vino rosato, che media
con successo quando un vino rosso non trova “pane per i suoi denti”,
su cui spendere l’incisività della trama tannica. Senonché, la presumibile
dolcezza di qualsiasi salsa/sugo di pomodoro ready made (è notorio
come questa sensazione li accomuni tutti) o, peggio, l’acredine acetica
del ketchup spazza qualunque complicità possibile tra il piatto e
il nostro rosé, pur proverbialmente votato alla diplomazia.
3°: il gruviera (o un suo parente/succedaneo a pasta cotta) richiamerebbe
in causa il vino rosso. Ma su quale fibra potrà mai consumare la sua
mordacità, se le penne lisce sono “collassate”, come spiega argutamente
la nostra autrice?
4°: l’olio di semi, la cui sgraziata untuosità risolve il problema
alla radice: sui Makkaroni Wurst può funzionare solo una birra, pils
o comunque lager, in grado dunque di nettare la bocca con il suo fondo
amaro. In cucina, i tedeschi sanno quello che fanno. (Sa.Co.) |
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