Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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foto Yahia LOUKKAL - Fotolia.com |
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Verticalità
/ 3: oltre il pollice opponibile Homo
Sedutus Automobilensis Conquista
e perdita della stazione eretta. di
Giulia Pepe |
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C’è un paio di cose che l’uomo deve ringraziare. È grazie ad esse
se è arrivato dove è arrivato. Insieme al pollice opponibile, forse
la più importante è la verticalità. Intesa come posizione eretta.
Insomma quella “cosuccia” che ci permette di non camminare a quattro
zampe, di non strisciare, di non rotolare, ma ci tiene con i piedi
- e solo quelli - per terra.
Quando i nostri antenati scesero dall’albero la cosa era tutt’altro
che scontata. Perché complicarsi la vita sfidando la forza di gravità,
la forza più potente dell’universo, che governa tutte le galassie?
L’uomo è un animale irrazionale, ma non se si parla di evoluzione.
Partiamo dai fatti, o da qualcosa del genere, viste le tante prove,
idee e credenze riguardanti il tema evoluzione. Milioni e milioni
di anni fa - circa tre e mezzo - alcune scimmie decisero che era arrivato
il momento di evolversi. Così i primi ominidi, detti Australopitecus
Afarensis, provarono la posizione eretta e da allora, a differenza
dei cugini pelosi, non l’hanno più abbandonata, nonostante non giovasse
al loro sistema osseo, non progettato per stare su due zampe. Ma allora
perché questa fissazione per la verticalità? In questa maniera, gli
ominidi avevano le mani libere e potevano impiegarle in altri modi.
Le scimmie scese dagli alberi se ne facevano ben poco del pollice
opponibile visto che alla fine lo tenevano sempre a terra. Da quel
momento in poi, invece, tutto cambiò.
La manualità non è l’unica eredità di questo passo evolutivo. Grazie
alla stazione eretta gli ominidi potevano guardare davanti a loro
e questo permetteva maggiori possibilità di difesa. Inoltre se la
testa è posta sopra la colonna vertebrale può diventare più grande
ospitando un encefalo più voluminoso. Insomma: dobbiamo ringraziare
la verticalità se siamo dei cervelloni, chi più chi meno. A fare le
spese dell’allontanamento dal suolo è stato invece l’olfatto. Questo
senso nel corso degli anni ha smesso di essere così utile, quindi
si è depotenziato. In compenso, largo alla vista, che è diventata
il senso di punta.
Ma è a questo punto che le cose si fanno interessanti. I più romantici
tendano le orecchie. Secondo una teoria evolutiva proposta dall’anatomista
Owen Lovejoy, l’uomo ha scoperto l’amore proprio grazie alla sua voglia
di stare su due gambe. Anche l’amore sarebbe dunque tra le cose per
cui rendere grazie. A Lovejoy, il cui cognome significa letteralmente
gioia d’amore, possiamo dare credito.
Come ha fatto il sentimento umano per eccellenza a nascere dalla verticalità?
Per capirlo dobbiamo pensare ai nostri antenati. Esclusi alcuni esseri
umani che ancora conservano qualche tratto bestiale, l’uomo si differenzia
dagli altri mammiferi per la mancanza dell’estro. Che tradotto significa
che non andiamo “in calore”. Di conseguenza la nostra stirpe partirebbe
in svantaggio, perché l’evoluzione delle specie è garantita soprattutto
dalla prolificità. Ma non solo da essa, altrimenti non si spiegherebbe
perché l’uomo, che mette al mondo così pochi cuccioli, sia diventato
il padrone del pianeta. Secondo Lovejoy, alcune ominidi, scimmie appena
scese dagli alberi con una stazione eretta ancora traballante, non
entravano in calore a causa di un difetto genetico. Di conseguenza
non attiravano il maschio dominante “alfa” del branco che avrebbe
dovuto fecondarle. Questo si rivelò essere la gioia degli altri maschietti
del gruppo. Rendiamola semplice e scientificamente poco elegante:
le ominidi femmine senza estro potevano accoppiarsi senza far ingelosire
l’esemplare alfa con i maschi “beta” del branco, che durante il periodo
fertile erano esclusi dalle pratiche riproduttive. Davano poi alla
luce progenie con lo stesso corredo genetico. Ma i cuccioli partoriti
da una mamma ominide espulsa dal branco non avrebbero avuto grandi
possibilità di sopravvivenza se non fosse scattata la “scintilla”.
Infatti, per permettere ai figli di crescere, i maschi che avevano
fecondato le ominidi geneticamente modificate rimanevano con loro.
E questa è la storia della monogamia.
Che cosa c’entra la verticalità con tutto questo? Gli ominidi, aiutati
dalla nuova possibilità di usare le mani, si spostavano per procacciare
il cibo; le donne restavano a casa con i pargoli. Grazie alla stazione
eretta si svilupparono quindi le cure parentali. Senza la verticalità,
quei piccoli, frutto di un evento straordinario, non sarebbero sopravvissuti.
E i legami affettivi che ci caratterizzano non esisterebbero. Alla
faccia di chi sostiene che a fare la Storia sono “i grandi”: la nostra
evoluzione è dovuta a quei soggetti di “serie b”, che definiremmo
“sfigati”.
Dopo millenni di trasformazioni, eccoci qui. Sulle nostre due zampe.
Ma siamo sicuri che la verticalità sia ancora il tratto distintivo
del genere umano? Superficialmente, si direbbe di sì: non gattoniamo
né strisciamo. Bisogna però considerare per un momento la nostra giornata
tipo. Esclusi i salutisti, gli sportivi e i fortunati che abitano
accanto al luogo di lavoro, tutte le mattine l’Homo Erectus
si trasforma in Homo Sedutus. In genere Homo Sedutus Automobilensis.
E c’è chi ormai non può proprio più fare a meno dalla macchina. Un
inventore cinese per andare incontro a questa esigenza ha progettato
auto capaci di galleggiare: ovvero barche con la forma di automobili
e tutte le comodità. E tra le vittime della dipendenza da automobile
c’è anche il famoso attore britannico Hugh Grant, che in una recente
intervista ha dichiarato che è il luogo migliore dove fare colazione.
Questa non è solo una mania da star. Secondo un’indagine di Cittalia
(il centro studi dell’Anci, l’Associazione nazionale comuni italiani)
un abitante della Capitale trascorre in media 74 minuti al giorno
nel traffico cittadino. E la media nazionale si allontana di poco:
60 minuti trascorsi al volante. Nel corso dell’anno passiamo ben due
settimane seduti in auto. Ma la cosa più preoccupante è che il 25
per cento degli automobilisti usa la macchina per fare meno di 10
chilometri. I risultati di una vita da Homo Sedutus sono lampanti.
Un dato emblematico: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità,
negli ultimi dieci anni gli obesi nei Paesi ricchi del mondo sono
aumentati di valori compresi tra 10 e 40 per cento. L’oscar per l’aumento
di popolazione in sovrappeso va alla Gran Bretagna. È tristemente
chiaro che d’altro canto c’è una parte di mondo costretta a usare
la verticalità il più possibile se non vuole morire di fame.
Purtroppo non sarà solo l’auto a privarci della nostra verticalità.
Guardando i ritmi vorticosi con cui la tecnologia sta entrando nella
nostra vita, non dovremmo stupirci se nel giro di pochi secoli la
specie umana abbandonasse la sua posizione eretta. Basti pensare alle
tante invenzioni volte a facilitare la vita e a renderla molto sedentaria.
Il capogruppo è il telecomando. A seguire, le lampade che si spengono
con il battito delle mani, lusso ormai non solo per ricchi. Sul terzo
posto del podio troviamo il cellulare. L’uomo moderno non dovrà più
fare un passo se avrà al suo fianco un telefono. Nelle case del futuro
il cellulare potrà accendere il microonde, regolare il riscaldamento
o ancora innaffiare le piante. Chi pensava che sarebbero stati i robot
a svolgere le funzioni di routine forse sbagliava: il maggiordomo
del XXI secolo sarà il cellulare.
Pensate che sia un’ idea strampalata? Forse, e magari anche un po’
catastrofista. Ma ispirati da questo modello di vita sedentario i
creatori di Wall-E, cartone animato Disney più per adulti che
per bambini (Oscar nel 2009), hanno provato a immaginare il nostro
futuro. Ovviamente la Terra non sarà più abitabile perché sommersa
dai rifiuti e i pochi uomini rimasti dovranno rifugiarsi su un’enorme
navicella, che diventerà la loro casa. Dopo secoli di vita spaziale
i suoi abitanti a stento si potranno definire umani. Uomini e donne
obese, che vivranno le loro vite su personali lettini volanti, deputati
a portarli ovunque. E ovviamente dove non arriveranno le braccia umane
arriveranno quelle bioniche dei robot. Come si vede in un’altra scena
del film, lo scheletro di questi ciccioni si ridurrà nel giro di alcune
generazioni perché inutilizzato.
Certo, questa è fantascienza, per di più in cartone animato. Però
bisognerebbe riflettere su un fatto: la fantascienza non è pura fantasia.
Parte da dati reali, della moderna società per “teletrasportarli”
in un futuro lontano. Wall-E è un cartone animato, ma chissà che non
nasconda una mezza verità. Vivremo in un mondo in cui non si toccherà
più terra? Saremo uomini ciccioni incapaci di fare un passo? Chi può
dirlo... Certo è che con tutto quello che ci ha dato, la verticalità
meriterebbe un po’ più di rispetto. Giulia
Pepe studia Lettere moderne all’università Statale di Milano. Collabora
con il quotidiano Il Giorno e con il periodico Il Diario del Nordmilano,
occupandosi soprattutto di eventi culturali e sociali |
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