Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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Doppia recensione
La Grande bellezza e la Bellezza grande
di Sorrentino Due appassionati
di cinema dicono la loro sul tanto discusso film del regista
napoletano. testi di Samuel Cogliati
e Igor Vazzaz |
A uno non è piaciuto, all'altro sì. Uno critica la recitazione
di Servillo, poco convincente e insufficiente per salvare il resto
del film. L'altro avverte: “Non è La dolce vita”, ma d'altronde non
ha mai preteso di esserlo, mentre Sorrentino è l'unico regista italiano
degno di confrontarsi con i maestri del passato. Ecco due letture
discordanti, ma entrambe sentite, dell'ultima opera del regista che
non mette d'accordo i critici. È ora che Toni Servillo
si fermi un attimo. Non è certo in discussione il suo indiscutibile
talento, ma “La grande bellezza” testimonia quanto i film inizino
ad essergli tagliati e cuciti addosso, tralasciando troppi altri aspetti,
e nella fiduciosa presunzione che la maestria del grande attore basti
a risollevarne le sorti.
Che cosa abbia voluto dirci Paolo Sorrentino con il suo ultimo lungometraggio,
non è dato sapere. Che la nostra società è in rapido e inarrestabile
decadimento morale e creativo? Che nessuno ha ancora trovato una risposta
più completa al senso della vita di quanto non possano dare le cose
semplici? Che solo il gusto per il bello può salvarci? O l'opera vuole
semplicemente essere un “affresco sociale”, omaggio a passate glorie
cinematografiche?
A dire il vero, è il senso del film in sé a sfuggirci: 150' di prolungato,
a tratti asfissiante compiacimento estetico-fotografico (bello, non
vi è dubbio!) e non molto altro. Qualche lampo di geniale polpa c'è:
il biascichio partenopeo di un Servillo ebbro e tre o quattro sequenze
di dialoghi impietosamente sarcastici, gustosissimi - si ride sul
serio - e davvero ben riusciti. Il resto sono un Carlo Verdone trascinato
a forza fuori dai suoi vieti cliché, una Sabrina Ferilli piovuta per
caso, una fotografia e una regia esasperatamente espressionistiche,
sullo sfondo di una Roma ovviamente struggente. Soggetto e costrutto
non pervenuti, e un film nel più classico stile retorico italiano.
Di questo andamento narrativo sincopato, fatto di commistioni oniriche
e reali, e di flashback, ci stiamo sinceramente un po' saturando.
Sì, il grande Servillo dovrebbe forse fermarsi un attimo, e magari
fare un film all'estero, tra un po' di tempo. Samuel Cogliati
Allucinatorio, musicale, ferino, satirico, e sempre, sempre toccato
dal dio del cinema, quello che, alla seconda inquadratura o qualche
fotogramma più in là, fa già gridare al grande film. Ironico che il
miglior “fico del bigoncio” del nostro disastratissimo cinema (Monicelli
ammoniva: non è - solo - arte , è industria) debba, da qualche titolo
a questa parte, fronteggiare plotoni marziali di critici cui ancora
s'ha da recidere il cordone ombelicale della trama, a rimproverargli,
con diligente puntualità, le proprie insoddisfazioni, ignorando come
la misura d'una valutazione estetica si calibri, anzitutto, col metro
implicito dell'opera stessa.
Rassegniamoci, rassegnatevi: La grande bellezza non è La dolce vita.
Altra Roma, altra Italia, altro mondo. E altre solitudini inquiete,
frustrazioni sopite, fallimenti accolti col rossiniano cinismo d'un
sorriso gettato sullo sprofondo d'una civiltà incapace di rappresentarsi
e, finanche, implodere. C'è tanto Houellebecq in questo Sorrentino
romano, nel disincanto del suo Jep Gambardella, nella tarlata tensione
religiosa, nella pupazzata collettiva d'un mondo aduso a darsela a
bere, fosse l'impegno posticcio d'una generazione fintorivoluzionaria
o la più classica sòla spacciata per avanguardia. C'è tutto questo
e ben altro, al di là del cast stellare e magistralmente diretto (il
parametro: una Ferilli mai vista così intensa), della catarsi di dialoghi
a tratti sin troppo perfetti: c'è il cinema. E, neppure per un istante,
il cinema italiano di oggi. Sorrentino non è Fellini, che genio chi
lo nota, ma è l'unico nostro autore contemporaneo che può stare su
quel piano e questo ci pare davvero innegabile. Igor Vazzaz
Scrivici: redazione@possibilia.eu
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