Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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foto di Dania Ceragioli |
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Niteroi, Brasile
In spiaggia per il banchetto della
dea Quando le coste del Sudamerica
diventano luogo di culto: sulla sabbia incendiata dal sole,
ogni anno i brasiliani rendono omaggio alla divinità marina.
di Igor Vazzaz |
Rio de Janeiro d'estate, quando alle nostre latitudini affrontiamo
i freddi invernali, non si limita a offrire notti infinite sulle note
di bossanova e samba, annegate in birra ghiacciata, cachaça e caipirinha.
Del resto, il Brasile è un universo difficile da contenere in uno
sguardo, impossibile da rendere in pochi tratti, pena l'inerzia d'una
banalizzazione fine a sé stessa: tanto vicino e tanto lontano, così
aperto, sorridente, eppure così ineffabile, a volte incomprensibile.
Accade quindi di svegliarsi, la mattina del primo dell'anno, e scendere
in spiaggia: non a Rio, intrappolata nel caos del divertimento coercitivo,
ma nell'antistante Niteroi, sull'altro lato della Bahia di Guanabara.
Città non trascurabile, col suo mezzo milione d'abitanti (niente,
rispetto ai sei e passa della cidade maravilhosa), le architetture
di Oscar Niemeyer e una veduta panoramica in grado di abbracciare
oceano e golfo, l'incantevole costa carioca, le spiagge di Flamengo,
Botafogo, sino al Pan di Zucchero.
La lunga spiaggia niteroiense, però, è tutt'altro che sgombra: non
la occupano (soltanto) i resti endemici dei festeggiamenti sansilvestrini,
eredità ordinarie, cartacce e bottiglie vuote, di manifestazioni all'aperto,
bensì una serie di tavole imbandite, dai toni chiari, con sopra cibarie,
frutta e oggetti di varia natura. Le presenze umane risaltano subito
per una peculiarità: di bianco vestite, indaffarate nell'allestimento
del curioso banchetto e in una serie di gestualità usate e sapienti,
in direzione del mare. L'atmosfera è carica di energia, una strana
sensazione invade le narici, gli occhi, i sensi tutti, anche se l'osservatore
è esterno, europeo per giunta, e quindi per natura incapace di capire,
penetrare, sintonizzarsi su questa palpabile euforia diffusa. Risuonano
musiche ritmate, allegre, le percussioni rimandano all'Africa, quella
casa immaginata che molti brasiliani portano nel sangue, nelle viscere,
in un passato che sanno ma che non possono ricordare. Quella particolarissima
memoria nera spiega ciò cui stiamo assistendo, muti e fascinati,
quasi rapiti dal ritmo dei gesti senza tempo disegnati sulla sabbia
chiara.
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È Iemanyà la protagonista della festa:
orixà, presenza semidivina della religione yoruba, protettrice
delle teste, madre di tutti gli altri orixà, figlia del dio
Ogun, madre i cui figli sono i pesci (Yeyé omo ejá), regina
del mare e di tutto ciò che in esso è contenuto. Impossibile tracciarne
una storia precisa, tanto sono differenziate le leggende attribuitele
nel passaggio dal Continente Nero al Latinoamerica. Le caratteristiche
indiscusse e comuni sono il legame col mare, regno indiscusso, con
l'acqua, elemento di vita, fertilità, rinnovamento, il carattere difficile
e la muliebre vanità. Ed è per questo che, tra i doni recati sulle
tavole imbandite e sulle piccole imbarcazioni che in breve prenderanno
il largo per tributarle omaggi e regalie, ci sono specchietti, pettini,
profumi, orecchini e gioielli, nel tentativo di ingraziarsi la tanto
potente divinità: è superba, vanitosa, e va sapientemente blandita.
Le barche partono tra canti e cori di buon auspicio, raggiungono il
largo per rovesciare tra le onde i doni carichi di speranza che l'uomo
reca alla dea. Se gli oggetti saranno inghiottiti dal mare, l'anno
sarà difficile; se, come sempre accade, resteranno sulla superficie
dell'oceano, cullati dalle maree, i presagi per il futuro saranno
felici e carichi di speranza.
Iemanyà è presenza insinuata nella mentalità brasiliana, quella cultura
così vicina a noi perché di matrice cristiana, eppure così remota
per la capacità di coniugare istanze antipodiche, di non rinunciare
al proprio substrato magico, le origini africane, una visione panica
del cosmo e della natura. La religione dei brasiliani è invasiva,
diffusa, la si respira in ogni andito della vita, pubblica o privata
che sia: Se Deus quiser, letteralmente “se Dio vuole”, non
è una formula vuota d'esibizione fideistica, è la percezione intima
della presenza di dio in ogni cosa, frase sentita per strada, nei
discorsi dei politici, nelle dichiarazioni dei calciatori. Per loro,
dio non solo esiste, ma c'è, partecipa della nostra vita, del
nostro mondo. I display degli autobus che intasano i viali delle città
carioca riportano, oltre alle destinazioni, Viajando com Deus,
“viaggiando con dio”, qualcosa di incomprensibile per noi europei,
così laici, a prescindere dalle inclinazioni personali. Per noi la
fede è un fatto individuale, ai limiti del privato, per loro è sociale
e socializzato, collettivo.
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foto di Dania Ceragioli |
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Non c'è contraddizione tra cristianesimo e radici africane, non rifiuto,
ma integrazione, unificazione, sovrapposizione. Si chiama sincretismo,
significa letteralmente “fusione di elementi eterogenei”: anche nella
storia delle culture popolari e religiose d'Europa si sono avuti fenomeni
del genere, ma in direzione d'un sostanziale trionfo su tutta la linea
del cristianesimo che ha “sbaragliato” le credenze antecedenti, rivestendone
figure, miti, storie.
In Brasile, e in molte altre zone dell'America Latina, le cose sono
andate diversamente: le divinità africane e quelle cristiane si sono
sia sovrapposte sia affiancate, dando vita a una compresenza profonda
e affascinante. Candomblé, Umbanda, spiritismo e sapienze
magiche, commistioni da cui si sono originate usanze che incidono
profondamente la vita delle popolazioni brasiliane. Del resto, la
stessa Iemanyà (o, come riportato in altre tradizioni, Iyemanjá, Yemanjá,
Yemaya, Iemoja, Iemanjá o Yemoja) è anche chiamata, in evidente sincretismo
con il cristianesimo, Nossa Senhora dos Navegantes, corrispondente
dunque alla Madonna cristiana protettrice dei marinai. Non solo: gli
attributi caratteriali rimandano evidentemente anche a una radice
precedente, a quella dell'Afrodite ellenica, dea della bellezza, e
non del mare, ma dalle acque originata, prima tra tutte le divinità,
più antica persino del potente Zeus. Iemanyà, Rainha
do Mar, femmina prima tra tutte le divinità, attende ogni anno
che gli uomini le offrano doni e attenzioni, tributi alla sua infinita
bellezza, alla sua potenza liquida e vitale: nei primi giorni dell'anno
sono i cariocas, gli abitanti dello Stato di Rio, a ingraziarsela,
lungo le coste della capitale, di Niteroi e di altre località marine;
poco più tardi, il 2 febbraio, è a Salvador de Bahia, sulla foce del
Rio Vermelho, che i fedeli accorrono a renderle in massa tutti gli
onori, e così lungo tutta la costa brasiliana, dal Nordeste sino a
oltre il confine con l'Uruguay. La dea, vanitosa e potente, attende,
ogni anno, da sempre, sciacquando di spuma le spiagge chiare di quell'universo,
così lontano e così vicino, che è il Brasile. Igor
Vazzaz, toscano di origine friulana, si occupa a vario titolo di
teatro, tv, musica (come cantante e autore), satira, cultura, collaborando
con l'Università di Pisa e varie testate. www.igorvazzaz.blogspot.com,
www.myspace.com/tarantola31
Scrivici: redazione@possibilia.eu
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foto di Dania Ceragioli |
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