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Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati. Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata - e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il vino, il rugby e il viaggio.

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I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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VINO

Una storia sepolta
Alla scoperta dei vitigni di Carmignano (Po), “l'ombelico del mondo d'i' vvino”.

testo e foto di Igor Vazzaz



gennaio 2013


«(…) ma se Giara io prendo in mano
di brillante Carmignano,
così grato in sen mi piove,
ch'ambrosia e nettar non invidio a Giove.
Or questo, che stillò all'uve brune
di vigne sassosissime Toscane
bevi, Arianna, e tien da lui lontane
le chiomazzurre Naiadi importune
che saria
gran follia
e bruttissimo peccato
bevere il Carmignan quando è innacquato (…)»
Francesco Redi, Bacco in Toscana, v. 739-750, 1685

C'è una terra, là, dove non ci si aspetterebbero che capannoni, industrie, cemento e svincoli stradali, segni inesorabili d'urbanizzazione mortificante. Una terra che è respiro, sorpresa, scommessa incastonata tra zone grigie e ingolfate di auto, in uno sviluppo che ancora attende d'essere interpretato a dovere. Carmignano, a pochi minuti da Prato, è lì, a stupire chi vi si rechi: ché, sia chiaro, non ci s'arriva a caso, né tantomeno ci s'immaginerebbe che in quel punto poco distante dai mobilifici del pistoiese, dai capannoni “sino-pratesi”, dalle congestioni viarie di Scandicci e Campi Bisenzio, possa stare un piccolo paradiso di storia ed enogastronomia.
La Toscana è (anche) questa, non solo cartolina patinata, biglietto da visita tra i più usati che il made in Italy abbia in repertorio. Anzi, la Toscana è proprio questa: industria e campagna fuse in progressioni di terreni senza soluzione di continuità, prive di (apparente?) razionalizzazione.
Carmignano non è lì per ventura: c'è sempre stata, sin dalle origini etrusche, epoca in cui ebbe inizio una viticoltura tra le più antiche della penisola; c'è sempre stata e ha, per secoli, recitato un ruolo primario nella storia del vino italiano, in largo anticipo su altri, e ora più noti, territori regionali e nazionali, un ruolo che solo un pasticcio tutto novecentesco ha contribuito a eclissare. Si pensi che il primo documento che attesta ufficialmente la coltivazione di viti e olivi nella tenuta di Capezzana (una delle più antiche della zona) è datato 804 d.C. e conservato presso l'Archivio di Stato di Firenze.

Ser Lapo e ser Filippo
A qualche secolo più tardi, nel 1394, risale invece la prima citazione esplicita del vino di Carmignano: ser Lapo Mazzei, notaio della Signoria Fiorentina, ambasciatore e grande appassionato di viticultura, in una lettera a Francesco Datini (commerciante e banchiere pratese cui si deve l'invenzione della lettera di cambio, erroneamente considerata l'antenata della cambiale, e invece primo caso di pagamento in assegno), cita i fermentati della zona sottolineandone sia il prezzo elevato sia la qualità che avrebbe giustificata la spesa, chiosando con un inequivocabile “la bontà ristora”. Lapo, del resto, lega il proprio nome all'enografia toscana e nazionale in modo ancor più saldo, poiché sempre a una sua epistola, del 1398, corrisponde la prima citazione assoluta del Chianti, macrozona confinante con i territori carmignanesi e storico avversario dal punto di vista di fama e mercato.
Grande famiglia, i Mazzei, da sempre legata al mondo del vino: se tuttora governa il Castello di Fonterutoli a Castellina in Chianti (Si), a un antenato si devono sorprendenti imprese in Europa e, soprattutto, negli appena sorti Stati Uniti. Filippo Mazzei da Poggio a Caiano (1730-1816), noto oltreoceano anche come Philip Mazzie, è considerato uno dei Founding Fathers of the United States, i padri della patria statunitense. Eclettico, vivace d'intelletto, Filippo partecipa attivamente alla Rivoluzione Americana, stringe amicizia con George Washington, John Adams, Thomas Jefferson, James Madison, James Monroe (i cinque primi presidenti degli Usa), Benjamin Franklin, influenzando direttamente Jefferson grazie ai propri scritti sul concetto di libertà individuale. Il motivo per cui lo ricordiamo non è di carattere filosofico o storico-politico, ma di matrice enologica: è lui ad aver piantato, nella tenuta dell'amico Jefferson a Monticello, Virginia, i primi esemplari di vitis vinifera europea in terra americana. Come a dire: se gli Stati Uniti hanno iniziato a bere e fare vino, Carmignano ha buona parte nella vicenda.
Un secolo prima, del resto, era Cosimo III de' Medici a citare questa pregiata zona di produzione tra le quattro aree protette dell'epoca, nel celebre bando Sopra la Dichiarazione dé Confini delle quattro Regioni Chianti, Pomino, Carmignano, e Val d'Arno di Sopra: documento datato 24 settembre 1716, che costituisce la prima regolamentazione ufficiale di produzione enologica, di due secoli antecedente al concetto, novecentesco, di DOC.

Dal passato al presente
Difficile, quindi, contraddire Realmo Cavalieri, un nome che è tutto un programma, passato da gastronomo estroso, presente da “memoria storica” della zona, quando ci saluta sorridente e afferma con puntiglioso orgoglio: «Benvenuti a Carmignano, l'ombelico del mondo d'i' vvino». Scorta preziosa e costante compagnia della nostra visita, gli brillano gli occhi a recitar il Redi, con quel suo accento pratese assai “più toscano” dell'affettata calata fiorentina, tutta riboboli in punta di forchetta. «Qua si coltiva il cabernet sauvignon, chiamandolo “uva francesca”, da secoli, grazie ai Medici che lo importarono dalla Francia: se non è definibile come autoctono, di certo è autenticamente tradizionale. Solo alcune circostanze sfortunate ci hanno relegato a presenza timida, poco conosciuta, nel patrimonio di vini di Toscana».
Continua. «Mussolini volle promuovere il Chianti e, nel 1932, inglobò il Carmignano nella sottozona di Montalbano, annullando secoli di storia. C'è voluta la Congregazione, nel 1975, per iniziare a farci riconoscere nuovamente una specificità di per sé innegabile». E, in effetti, è abbastanza curioso che varie insegne storiche del vino toscano siano frutto di operazioni abbastanza recenti (il Brunello di Montalcino ha origine a fine Ottocento, per iniziativa dei Biondi-Santi, il Sassicaia, primo dei bolgheresi nobili, vede la luce a partire dalla fine degli anni Sessanta) a confronto con questa piccola località dalle radici ben piantate nei secoli.

Con Realmo passiamo quindi di cantina in cantina, costeggiando il versante di Seano, prima in alto, da Bacchereto, dove si scorge l'antica chiesa di San Pietro, datata 998: degustiamo con Rossella Bencini Tesi il suo Terre a Mano, Carmignano DOCG, e il pregiatissimo Vin Santo. Vediamo le vigne, i fichi a essiccare (questi ultimi sono un presidio Slow Food della zona), gli olivi che ci portano alla Tenuta di Capezzana, dove Filippo, Serena e Vittorio Contini Bonacossi (in lui una vera a propria anima del vino di qui, avendo nel tempo aiutato, con la propria esperienza, i teorici “concorrenti”) ci accolgono con amicizia e calore, sino al Podere Allocco, dove Emilio Mannelli, operatore del tessile “conquistato” dal vino, ci fa vedere con orgoglio il suo «gioiello». Allocco produce poche bottiglie, ma rappresenta una delle grandi sorprese recenti: il 2006 è considerato da più parti tra le migliori espressioni della zona degli ultimi millesimi. A poche spanne dai vigneti di Emilio, ecco Pratesi, altra minuta realtà d'una denominazione composta quasi interamente da piccoli produttori. Finiamo con Piaggia, di Mauro Vannucci. Se con Emilio abbiamo avuto di fronte l'accoglienza calda e gentile della campagna, Mauro ne rappresenta l'anima tosca (che in italiano, non a caso, significa pure “velenosa”) con il suo salutarci ruvido e guascone, neanche fosse saltato fuori dai Maledetti toscani di Curzio Malaparte (altro pratese, almeno da parte materna).

I vini di Vannucci, da tempo assai apprezzati dalla stampa americana, stanno trovando una nuova fisionomia, meno muscolare e più elegante, anche se lui non lo ammetterà neanche sotto tortura. Ci costringe letteralmente a una graditissima visita in vigna, nonostante l'ora per noi tarda, suggerendoci con brusca e irresistibile simpatia, quanto Carmignano rappresenti una realtà tutta da scoprire del vino italiano. Eppure, la Toscana è questa qua, dove non si imitano i francesi, non s'inventano tradizioni storiche, ché le tradizioni ci sono da sempre. Dove, ed è notevole, sopravvive ancora un principio di mutua solidarietà tra i produttori, forse perché non vi girano i soldi (con le conseguenti speculazioni) che inquinano la viticoltura d'altri lidi. Per contro, un non indifferente vantaggio per il consumatore è costituito dal fatto che la mancanza di visibilità del Carmignano contribuisce a tenere un profilo di prezzi sorprendentemente ridotto, sia per rapporto qualità/prezzo sia per il confronto, invero impietoso, con altre più rinomate denominazioni. Ce ne torniamo verso la congestione dell'A11 dopo una giornata magnifica, di vigna, campagna e umanità. Ai vini penseremo poi (e a parte), di certo siamo felici di essere stati nell'ombelico del mondo del vino, oppure, altro paragone che sorge spontaneo, nel villaggio di Asterix e Obelix, piccolo, indomito e inespugnabile, dell'enografia italiana e non solo.

Il racconto dei vini (degustazione del settembre 2010)
Di Bacchereto abbiamo iniziato con un sorprendente Sassocarlo 2006, bianco ottenuto da trebbiano e malvasia: naso intenso, leggere note tostate, grande struttura mitigata a dovere da una piacevole morbidezza a rendere di buona beva un vino comunque potente. Di seguito, il carmignano Terre a mano, annate 2006 e 2007: in entrambi i casi profumo sinuoso, note balsamiche e sentori di confettura di more, frutti di bosco, mai sovrastate da una speziatura dolce e gradevolissima. Persistente in bocca, il finale segna un gustoso ritorno del fruttato. Infine, il Vin Santo 1999 (trebbiano e malvasia): in evidenza profumi eterei, seguiti da note di miele d'acacia e frutta secca; in bocca è disteso in una dolcezza persistente e ricca di profondità.

Della Tenuta di Capezzana abbiamo assaggiato il Trebbiano di Capezzana 2006, bianco di ottima struttura, un bellissimo colore giallo tendente all'ambrato, profumi intensi di fiori gialli, speziature dolci ereditate dal passaggio in botte piccola, un ingresso in bocca assai intenso ed elegante, dove non sfugge un tannino leggerissimo, sfumato nella lunga persistenza. Il Trefiano 2006 è, invece, un carmignano prodotto vicino all'omonima villa: sangiovese, cabernet e canaiolo danno vita a un vino di grande impeto giovanile, dato da intensi profumi fruttati, una nota di tabacco e, in bocca, da un carattere da domare cogli anni; il tannino deve ancora ammansirsi, le note di frutta rossa si dispiegano su una struttura importante ma che deve ancora trovare una quadratura precisa. Infine, Villa di Capezzana, anche qui 2006, di cui si nota la parentela col Trefiano, per quanto il comportamento sia sensibilmente diverso: più gentile, a tratti gradevolmente grasso, una persistenza più convincente e una profonda “sincerità”, dote che ha in comune col “fratello”.

Grazie a Emiliano Mannelli del Podere Allocco, abbiamo assaggiato un interessantissimo Barco Reale di Carmignano (doc per i rossi più immediati e di pronta beva della zona): un rubino intenso dai profumi franchi di frutta e fiori, accompagnati da note di lieve spezia, che trovano corrispondenza in bocca in una grande piacevolezza di bevuta. Allocco però si segnala nelle ultime annate per il carmignano docg: il suo 2008 è sorprendente per la “quadratura”, abbinando un naso elegantissimo a una grande piacevolezza in bocca: la frutta scura e matura, le note di pepe bianco, tabacco, i sentori balsamici tipici della zona, il bouquet di fiori dai petali appassiti sono tutte caratteristiche confermate all'assaggio, cui si sommano piacevole acidità, tannino perfettamente integrato, nota sapida gradevole, ben distesi su una chiusura lunga e “polposa”. Probabilmente il vino che ordineremmo al ristorante.

Di Pratesi segnaliamo il piacevole Locorosso 2007 (igt Toscana), un sangiovese al 100%, di struttura discreta, il Carmione 2007 (igt Toscana), vino da uve cabernet e merlot, dalla fitta trama cupa, di struttura importante, carnosa, e, soprattutto, il Carmignano 2007: vino che rispetta le attese, ben eseguito e piuttosto rappresentativo delle caratteristiche della denominazione; elegante nei profumi, gustoso in bocca, buona la persistenza.

Last but not least, i vini del tosco Vannucci dell'azienda Piaggia: tutti e tre piuttosto “calibrati”, a tratti, nella piacevolezza, danno la sensazione di un'elaborazione sin troppo studiata. Il Sasso 2007 è un carmignano che presenta profumi alquanto scuri, che impiegano un po' di tempo per esprimersi a dovere, sciogliendosi poi in un bouquet di spezie e note tostate, di confettura di more, di viole passite e di leggera balsamicità; in bocca è largo, ancora duro, non deludente, da lasciare in bottiglia per un po' di tempo. Meglio il Piaggia, carmignano riserva 2006, forte di un'annata favorevolissima e di un'esecuzione che, pur non esente da una certa meticolosità nella costruzione, si segnala per piacevolezza e profondità nei sentori di frutta, di pepe nero, tostature dolci e lievissima nota mentolata: in bocca è carnoso, ampio, dai tannini domati, di grande persistenza. Poggio dei Colli 2007 è, infine, un cabernet franc di carattere, a riprova della sintonia tra questa zona e i vitigni di tradizione francese.


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