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VINO Le
dimensioni d'Yquem Il più
celebre dei sauternes in verticale. Con sorpresa. di
Samuel Cogliati |
maggio 2015
Château d’Yquem è senza gara il più famoso
tra tutti i sauternes. Classificato unico Premier cru supérieur
tra i bianchi dolci della rive gauche nel 1855, produce da 100 ettari
di vigna uno dei passiti botrytizzati più celebri del pianeta.
La duplice verticale organizzata dal suo importatore italiano, Sarzi-Amadè
(cui va il mio ringraziamento), alla presenza del maître
de chai dello château, Sandrine Garbay, ha offerto la
possibilità di degustare sei annate del sauternes e tre annate
del bordeaux blanc “Y”, prodotto fin dal 1959 come bianco
“secco” della stessa tenuta.
Sauternes Château d’Yquem
Nel 2004, dopo l’acquisto della proprietà da parte
del gruppo LVMH (Louis Vuitton Moët Hennessy), arrivano Pierre
Lurton come presidente e direttore generale, e Denis Dubourdieu
come enologo consulente. Se le proporzioni dell’assemblaggio
non mutano (il 75% del vigneto è piantato a sémillon,
il 25% a sauvignon blanc), cambia radicalmente l’affinamento,
ridotto da oltre 3 anni a 2 anni, sempre in barrique nuove. «L’obiettivo
– spiega Sandrine Garbay – è preservare il frutto,
riducendo l’ossidazione e la presenza di acetato di etile»,
nell’ottica del mantenimento di un timbro più fresco
e integro. Dopo un anno di affinamento si procede alla miscela dei
due vitigni maturati separatamente; dopo il secondo inverno l’assemblaggio
definitivo delle varie partite, per andare in bottiglia due anni
dopo la vendemmia, e in commercio due o tre mesi dopo.
2013 (anteprima)
Naso ricco, movimentato, piacevolmente crudo (mi piacerebbe un Yquem
così spontaneo...). Goloso e grasso in bocca, untuoso e fine,
con note di liquirizia, castagna e un bel finale di caramello. Il
neo è la persistenza non particolarmente lunga.
[campione da vasca dell’assemblaggio definitivo; «bell’annata
per la botrytis», dice Garbay; vendemmia in quattro passaggi
tra il 25/09 e il 25/10; zuccheri 140 g/l; alcol 13%; rese sotto
la media (80.000 bottiglie)]
2011
Impatto un po’ stretto, vegetale, alcolico e meno ampio del
2013. Ingresso in bocca lievemente salino, anche in questo caso
un po’ serrato; rugosità e finale con accenti tostati.
Meno reattivo e meno preciso del precedente.
[annata precoce: vendemmia dal 05/09 al 05/10; zuccheri 143
g/l; produzione 110.000 bottiglie]
2009
Bellissimo inizio composto e trattenuto, iodato, con delicate note
di senape e carne. Discrezione accompagnata da preziosi accenti
mentolati. Teso e ricco al gusto, potente e ancora molto giovane,
con un tocco tostato e di confettura di arancia. Frutta candita
e opulenza anche nel finale.
Generosità e maniera che si coniugano in un esempio paradigmatico
di ciò che Yquem vuol essere. Bottiglia dal futuro radioso.
[vendemmia in quattro passaggi dal 08/09 al 19/10; zuccheri
150 g/l; produzione 140.000 bottiglie]
2007
Elegante benché si colga una sfumatura di rovere; buccia
d’arancia candita, note eteree, per poi sfoderare un frutto
ampio ed esplosivo. Speziato e dinamico al gusto, fine con un accenno
amarognolo e uno sviluppo indurito verso una chiusura molto meno
raffinata del 2009. Ordinato ma a tratti contratto nelle movenze.
[«muffa nobile di grande qualità, ma uva di media
qualità», racconta Garbay; zuccheri 132 g/l; alcol
14%]
2000
Naso appena severo, dapprima poco espressivo, si apre lentamente.
In bocca appare inizialmente affaticato, ma è solo un passaggio:
amaro e salinità finale disegnano una bevibilità e
una purezza che mancano agli altri millesimi, ad eccezione del 2009.
Yquem acquetato, raffinato, senza esibizioni. È per me la
vera sorpresa della batteria, in un’annata mediocre per i
bianchi dolci di Bordeaux.
[«grande annata ma difficile gestione della botrytis –
spiega Garbay –: un solo passaggio vendemmiale a inizio ottobre,
prima delle piogge continue che hanno costretto a gettare tutto
il resto della vendemmia»; piccola produzione (20.000 bottiglie);
circa 5,9 g/l di acidità tartarica]
1995
Naso stringato, etereo, con una sfumatura affumicata. Denso e dolce
in bocca, su note di zafferano. Minor definizione e dinamica un
po’ affaticata, per questo millesimo giunto alla definitiva
rappresentazione della sua identità. Un Yquem “vecchio
stile” di limitata eleganza, non indimenticabile.
[«tre settimane di pioggia nel mese di settembre, poi
vento da est e un anticiclone che hanno permesso di vendemmiare
tra fine settembre e inizio ottobre, di fretta, a fronte di un appassimento
rapido delle uve. Dopo la difficile serie 1991, 1992, 1993, 1994,
i 30 gradi alcolici potenziali delle uve di quest’annata ci
parsero una manna»; vendemmia in tre passaggi dal 29/09 al
13/10]
Bordeaux blanc “Y” d’Yquem
“Y” (pronunciato igrèc) ha subìto
più pesantemente la riorganizzazione stilistica dello château,
che ha modificato lo stile dei suoi primi quattro decenni di storia.
Con la fine dello scorso millennio si è deciso di produrlo
tutti gli anni da un primo e precoce passaggio vendemmiale, contrariamente
alla strategia pregressa, che lo vedeva frutto degli ultimi grappoli
non raccolti per Yquem, poiché scarsamente botritizzati,
con una produzione episodica. La nuova generazione di “Y”
è iniziata con le prove del 1994 e del 1996, ma è
la 2000 ad essere considerata la prima annata compiutamente rappresentativa
della nuova epoca. Affinamento ridotto da 18 a 10 mesi in barrique
nuove solo per il 20% (il resto sono barrique di secondo passaggio
del sauternes). Bâtonnage sur lies, poi massa in
vasca. L’assemblaggio ha visto crescere dal 50 al 66% la proporzione
di sauvignon blanc, su pressione di Dubourdieu. La selezione delle
uve non è parcellare – si usano gli stessi appezzamenti
destinati al vino dolce – ma una cernita vendemmiale. Come
per Yquem, i solfiti totali sono abbondanti, in questo caso attorno
a 140 mg/l.
L’obiettivo è produrre un vino bianco “sec”
(in realtà abboccato, attorno a 7 g/l di zuccheri) più
fruttato e moderno, con l’intento di preservare l’integrità
(anche varietale) degli aromi dell’uva. Sul fronte del prezzo
“Y” dovrebbe rappresentare un terzo circa del prezzo
di Yquem. Una bottiglia che si attesta attorno a 150 € sullo
scaffale di un’enoteca.
2012
Naso grasso e fine, un po’ stretto dai solfiti. Limonoso e
vegetale, è appena pungente. In bocca è grasso, blandito
dal residuo zuccherino ma parzialmente raffrenato. L’allungo
è meno convincente, segnato da amaro e da una durezza un
po’ bruciante.
[è l’unica cuvée dello château per
quest’annata, in cui non si è prodotto il sauternes;
80% sauvignon blanc vendemmiato a partire dal 6 settembre; zuccheri
7 g/l; alcol 14%]
2011
Naso più erbaceo, connotato dal sauvignon, con una maggiore
semplicità di frutta esotica. Fresco ma facile e meno movimentato
anche in bocca, dove si rivela poco complesso ma gradevolmente scorrevole.
Finale amarognolo.
[vendemmia precoce (dal 17 agosto); 70% sauvignon blanc; acidità
6,5 g/l; zuccheri 7 g/l; alcol 14%]
2000
Naso di primo acchito apparentemente provato e poco espressivo,
con un tocco ossidativo. Una seconda bottiglia – preservata
da un tappo migliore – è più nitida, ricca,
composta ed elegante. La zuccherosità si muove con minor
evidenza ma più finezza, sulle note di frutta candita e leggermente
saline del finale. Buon controllo dell’amaro. Un “Y”
più intrigante ed espressivo, rispetto alle due annate di
cui sopra; sarà merito solo dell’invecchiamento?
[sauvignon e sémillon in parti uguali; vendemmia dal
12 settembre]
Per concludere
“Y” è qualcosa di più di un esperimento,
è un vero e proprio “gesto generazionale”, perché
si colloca in una dinamica di produzione più continua dei
vini bianchi secchi o semi-secchi del Bordolese. «Nella nostra
regione – spiega Sandrine Garbay – c’è
penuria di bianchi secchi, e diverse aziende stanno andando in quella
direzione, anche per assecondare il mercato. In effetti, i sauternes
sono spesso entusiasmanti per i degustatori, ma poi la loro commercializzazione
è più complicata di quanto si creda. Così,
i bianchi secchi potrebbero essere la chiave per far conoscere il
territorio a tutta una fascia di clientela, in particolare quella
più giovane». A Bordeaux si sente evidentemente la
necessità di un soffio di rinnovamento – e le capacità
per farlo non mancano. «C’è addirittura chi si
spinge a proporre i sauternes miscelati all’acqua tonica o
alla minerale gassata, a mo’ di cocktail, per “svecchiare”
l’immagine di questi vini», annota Garbay, che ammette
di non essere aprioristicamente refrattaria a questa possibilità
«ma non con Yquem, ovviamente!».
Immagine che – lo si coglie dalle scelte esecutive dell’ultimo
decennio – si intende spolverare anche per lo Château
d’Yquem. Mi pare presto per dare una valutazione qualitativa
credibile di questa nuova direzione, improntata a maggiori fragranza,
freschezza e prontezza di beva (il che implica, peraltro, il dimezzamento
dell’immobilizzo di capitale, un vantaggio economico non trascurabile).
Giudizio difficile anche perché l’ultimo decennio non
sembra paragonabile, in termini meteorologici, con l’andamento
non sempre facile degli anni Novanta.
Di sicuro, invece, c’è che per lo Château d’Yquem
le dimensioni continuano a contare. Non solo dimensioni della tenuta,
ma anche del vino: la primazia sugli altri sauternes, lungamente
assodata da un prestigio mai più messo in discussione, sembra
affidata all’opulenza più che alla complessità
e alla raffinatezza, che altri sauternes o barsac mi pare eguaglino
o talora superino senza troppa difficoltà.
cogliati@possibilia.eu
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