Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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foto di Samuel Cogliati |
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VINO Franciacorta:
quale profilo? Assaggi sparsi
dal festival 2014, tra quesiti, conferme e sorprese.
di Giorgio Fogliani |
giugno 2014
Trentasette cantine, 74 bottiglie. Si presentava così il “Festival
Franciacorta a Milano” lo scorso 26 maggio, in uno scenario,
il chiostro del museo della Scienza e dalla tecnologia, dei più
suggestivi.
Grandi e piccoli produttori, tutti con due bottiglie in degustazione
(di solito, ma non sempre, un brut sans année e un
millesimato più maturo, oppure un rosé): una formula
snella e democratica, un po’ addetti-ai-lavori e un po’
glamour.
Prima di abbandonarmi alle sabbie mobili delle impressioni e dei commenti,
ci sono delle premesse da fare. (Le-mani-avanti, la recusatio,
chiamatelo come volete ma è il momento più bello: deresponsabilizzante,
quasi assolutorio, retorico come nessun altro). Innanzitutto, ho il
grande difetto di cercare in ogni metodo classico – irrazionalmente
e irragionevolmente – lo champagne (e ovviamente non ce lo trovo
mai); è un difetto grave, che trascende cose importantissime,
come l’identità e il terroir. Ma sto cercando di curarlo.
E poi, da quando ho (felicemente) scoperto Casa Caterina, con i suoi
ex franciacorta, extra-franciacorta, o forse addirittura post-franciacorta,
i miei punti cardinali sono stati stravolti, anzi polverizzati. Insomma,
per farla breve, sono più sensibile a potenza, espressività,
lunghe soste sui lieviti, cremosità, che a finezza e (presunta)
facilità di beva.
Ma entro nel merito. Mi pare di poter ricondurre i campioni che ho
assaggiato a due gruppi principali (più uno):
1) il primo gruppo è composto da (tanti!) vini abbastanza semplici,
dal naso quasi silenzioso o comunque prevedibile e piuttosto stereotipato.
I produttori e una parte della critica li presentano come vini (anzi,
«bollicine») da aperitivo, come se l’aperitivo non
potesse contemplare qualcosa di più caratterizzato, ma si dovesse
per forza bere sempre lo stesso vino, senza pensarci troppo. Il paradosso
è che sembra che queste bottiglie rincorrano il prosecco. Ma
allora, come sempre, meglio l’originale...
2) Nel secondo gruppo trovo vini grassi e cremosi, spesso riserve
o frutto di affinamenti in legno. Lì per lì mi emozionano
di più (vedi alla voce premesse), ma hanno forse il
difetto, a volte, di fare il verso allo champagne e di risultare magari
golosi; il rischio della pesantezza è però sempre in
agguato. Tra questi ultimi, quelli che mi hanno convinto di più
sono stati, in rigoroso ordine alfabetico:
- Bellavista “Alma Cuvée” brut s. a. (80% ch, 19%
pn e 1% pb, 48 mesi sui lieviti)
- Bellavista brut 2008 (70% ch, 30% pn)
- Ca’ del Bosco Cuvée Annamaria Clementi Riserva 2005
(55% ch, 25% pb, 20% pn, sette anni sui lieviti, sboccatura realizzata
in assenza di ossigeno in modo da non aggiungere ulteriori solfiti
– la SO2 è, alla fine, inferiore a 50 mg/l, circa un
terzo del consentito)
- Monte Rossa “Salvàdek” extra-brut 2009 (95% ch,
5% vino di riserva)
- Vezzoli Giuseppe, “Nefertiti Dizeta” extra-brut 2008
(100% ch).
3) Ho parlato di un terzo (pseudo-)gruppo perché alcuni franciacorta
degustati non si ri(con)ducevano né al primo né al secondo,
ma uscivano felicemente dallo schema, senza per questo essere simili
tra loro. Mi hanno sorpreso, e a volte sono pure riuscito a capire
perché. Eccoli:
- l’azienda Colline della Stella (al banco degustazione è
presente l’enologo Nico Danesi, con il quale ho avuto il piacere
di parlare brevemente) imbottiglia solo franciacorta non dosati e
lo fa, assicurano, da prima che diventassero di moda: una scelta non
ideologica, ma dettata dal terroir. Molto convincente il Franciacorta
s. a. (ma di fatto, pare, un 2011): 90% ch, 10% pn, circa 20 mesi
sui lieviti. Al naso è immediatamente riconoscibile un’impronta
marino-iodata, che insieme a una buona freschezza ne fa un vino verticale,
non strutturatissimo ma assai godibile e per niente banale. La proposta
è completata da un buon rosé (100% pn, 2010) dove si
ritrova con piacere la stessa salinità.
- La nota salina si ritrova, ma fusa in una maggiore cremosità,
nelle cuvée proposte da Le Marchesine: un brut s. a. (ch 60%,
pb 25%, pn 15%), 25 mesi sui lieviti e vendemmia a grappoli interi,
come tengono a precisare; e un brut blanc de blancs 2008, 36 mesi
sui lieviti. Quest’ultimo regala qualche piacevole nota di erbe
aromatiche (origano).
- Mirabella presenta invece un brut s. a. (70% ch e 30% pb, 24 mesi
sui lieviti), e il brut “Demetra”, stesso taglio ma permanenza
sur lie doppia. Molto interessanti e ben connotati entrambi,
con una bella nota agrumata e la piacevole scoperta della frutta tropicale.
La cuvée Demetra sfoggia note più intense e variegate
di miele (e di qualcosa che, se non fosse così fuori luogo,
ricorderebbe la botrytis), senza per questo perdere la freschezza
del fratello minore.
- L’unico blanc de noirs che ho trovato è stato il “Cisiolo”
di Villa Crespia Muratori, un pas dosé s.a. che passa 35-40
mesi sui lieviti e non li nasconde affatto: frutta secca tostata,
crosta di pane, molto espressivo e molto sicuro di sé. A ragione.
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