Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
Vai a www.possibiliaeditore.eu |
|
|
|
RUGBY Quel
gioco con la palla ovale che va spiegato. Dai bambini ai genitori
Intervista con Chicco Pessina.
di Giulia Pepe |
novembre 2011
C'è una semplice distinzione tra chi ama il rugby e chi ne ha solo
sentito parlare. Questi ultimi pronunceranno il nome di questo sport
regby mentre i primi useranno la pronuncia corretta ragby.
Te lo spiego io il rugby (Edizioni A.Car, 64 pagine, 5 euro,
isbn 978-88-6490-015-5) è un libro che si rivolge a tutti quelli che
si ostinano a usare una e. Per presentarlo abbiamo parlato con Chicco
Pessina, 57 anni, per 26 giocatore del Rugby Rho, e autore del piccolo
manuale, insieme a Maria Grazia Cipriani, disegnatrice, ex giocatrice
di rugby, mamma e moglie di rugbysti, e a Tatiana Zampollo, psicologa
dello sport. Perché scrive un libro che spieghi cosa sia
il rugby? «Perché negli ultimi anni di rugby si è scritto
molto. Ma sono tutti racconti per “addetti ai lavori”, per chi amava
già questo gioco. Mancava invece un libro che unisse i piccoli giocatori
ai loro genitori, che spesso non ne sanno nulla». Allora
perché portano i figli a giocare a rugby? «Perché finalmente,
grazie all'aumentata attenzione mediatica, il rugby sta diventando
famoso. A fatica l'Italia cerca di liberarsi dallo strapotere del
calcio. In parte ci stiamo riuscendo. In questi ultimi anni, grazie
alla tv, è inutile negarlo, questo sport ha sempre più tifosi e appassionati.
E giocatori. Basti pensare che negli anni Ottanta i tesserati in società
rugbistiche erano circa mille. Oggi sono 100mila. Per la prima volta
non arrivano da noi solo gli scarti degli altri sport».
C'è meno competizione nel rugby? «Non così tanta come in
altri sport. Ma soprattutto perché i genitori, non essendo esperti,
non vogliono a tutti i costi un figlio campione. E poi il rugby va
bene per tutti. C'è un ruolo per ognuno, in base alla propria conformazione
fisica. E possono giocare sia le donne che i signori di una certa
età». A chi vi rivolgete con questo libro? «Un
po' a tutti. I bambini possono usarlo come gioco, perché in realtà
è più un quaderno, un diario. Ci sono pagine per poter scrivere e
disegnare. Per questo motivo le società sportive ce ne hanno chieste
molte copie. Ma è uno strumento prezioso anche per i genitori. Soprattutto
per le mamme». Perché sono quelle che ne sanno meno?
«Perché in genere sono quelle che devono solo lavare la divisa sporca
di fango e pensano che questo sia un gioco molto pericoloso. Quando
guardano una partita vedono solo il loro bimbo che va contro l'avversario
e che rotola per terra. Invece il rugby non è questo. È un gioco utile
ai ragazzi». Allora perché i genitori dovrebbero scegliere
il rugby? «Perché dietro all'apparente violenza ci sono numerose
regole. Solo che non sono quelle approvate dalla società».
Spieghiamolo meglio. «A un ragazzino si insegna che non
deve sporcarsi, che non deve buttarsi per terra e soprattutto che
non può gettarsi contro gli altri. Nel rugby invece questo si può
fare, anzi deve essere fatto. Ma seguendo regole molto precise. Quando
entra in campo il bambino riacquista quegli istinti primordiali che
la società gli nega. Ma sa bene che può farlo solo in campo. È una
grande scuola di disciplina. Inoltre la costruzione dell'azione è
una metafora di vita. Con la palla ovale il grande campione non può
fare nulla da solo. Senza la squadra non si arriva a fare punto. Serve
davvero l'aiuto di tutti». Si potrebbe pensare che è
uno sport pericoloso. «Non più di altri. Certo, quando si
inizia a giocare a rugby bisogna iniziare a fare i conti con le proprio
paure. Bisogna pensare che l'avversario si scontrerà con noi. Però
anche questo fa parte del percorso educativo». Quando
si può iniziare a giocare? «Dai 6 anni. Fino ai 14 anni si
considera minirugby, e ha regole un po' diverse in base alle fasce
di età. Però io consiglio una cosa: andate a vedere una partita di
minirugby. Certo non ci sono i grandi numeri dei campioni, ma vedere
un bimbo che corre con una palla quasi più grande di lui è uno spettacolo
comunque». Torniamo al rapporto con l'avversario. In molti sport ormai
si cerca di essere il più cattivi possibile. Nel rugby funziona così?
«Non proprio. Ma non perché noi vogliamo essere buonisti a tutti i
costi. Però quando si gioca con la palla ovale un avversario è necessario.
Non si possono fare due tiri come quando si gioca a calcio. Per questo
noi diciamo che giochiamo con un avversario e non contro».
Ormai si parla tanto del terzo tempo del rugby. Anche nel minirugby
si pratica? «Certo. È la base dell'insegnamento del rispetto.
Dopo la partita si fa merenda tutti insieme, con la squadra avversaria
e soprattutto con l'arbitro. Lì si può discutere di quello che in
partita non ci è sembrato giusto. Ma sempre con molto rispetto».
Visto così sembra un mondo idilliaco, in cui prima ci si rotola
nel fango e ci si spinge, e poi si è tutti fratelli. «Vedere
per credere. Non diremmo che il rugby è educativo se non fosse così».
Abbandoniamo per un attimo il fairplay. Possiamo dire
che il rugby è molto meglio del calcio? «Diciamo solo questo.
Come specificato nel sottotitolo del libro (“Il gioco più bello del
mondo spiegato dai bambini ai genitori”) il rugby si può considerare
davvero un gioco. Un momento per divertirsi. Il calcio diventa fin
da subito una competizione per vedere chi è il più bravo. Ma per innamorarsi
del rugby non servono tutte queste chiacchiere. Basta guardare una
partita».
Scrivici: redazione@possibilia.eu |
|
|