Vini che cambiano, prezzi che fluttuano, digestioni moleste
di Samuel Cogliati
dicembre 2017
Giornata curiosa. Ieri mi sono imbattuto in tre fatti edificanti.
Primo. Cedo alla tentazione di essere giovane e trendy, e mi concedo un aperitivo in diligente stile milanese. In un bar-caffetteria à la page, ricco buffet di paninetti, frittini, tortine salate, eccetera, e una lavagna con una proposta più che onorevole di vini al calice. Peraltro adocchio tra i bianchi fermi un vino che non assaggio da tempo, ma che parecchi anni fa ebbi l’occasione di degustare in un’ampia e gratificante verticale. La scelta è presto fatta.
M’impongo di masticare con calma, senza trangugiare, e di assaporare il vino lentamente. Così lentamente che, al terzo o quarto sorso la mano si trattiene e il gomito non si alza più. Non riesco a terminare il bicchiere. Bianco trasfigurato sotto un profilo generosamente aromatico che non pertiene né alla denominazione né al vitigno; per giunta bruciante al naso e in bocca (per tacere di esofago e stomaco). L’irritazione gastrica non si farà attendere molto; la digestione si farà assai laboriosa.
Secondo. Indugio qualche minuto dinanzi alla vetrina di una rinomata enoteca, addobbata in tema dichiaratamente natalizio. Doviziosa la proposta di spumanti metodo classico rinomati, tra champagne e altre prestigiose denominazioni italiane: una ventina di etichette in bella vista. Per puro caso, le conosco tutte. E mi sorprende una constatazione: di tutti quei vini il migliore è il meno costoso (33 €). Ricontrollo, verifico, rifletto; sì, è così.
Terzo. Prima di cena, mezzo calice di un vino bianco senza denominazione d’origine, da viticoltura biologica e vinificazione senza additivi enologici, venduto a circa 2,30 € al litro. Rimette a posto lo stomaco e rinfranca lo spirito, disponendo il corpo e l’anima a un salubre pranzo serale.
Considerazioni. Come ben dice una cara amica – giovane e perspicace –, io mi sto attempando e sono ormai un «vecchio brontolone». Eppure qualcosa ci sfugge ancora.