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Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati. Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata - e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il vino, il rugby e il viaggio.

Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu


I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
Vai a www.possibiliaeditore.eu
foto gentilmente concessa da Eleonora Voltolina
Interviste: Eleonora Voltolina

La cultura del “back stage”
Esiste il tirocinio utile? Quali tranelli e quali timori nasconde? Ce lo spiega una giornalista navigata in materia.

di Ludovica Scaletti

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L’Italia è una repubblica fondata sullo stage, come scrive Beppe Severgnini? Quali sono i diritti degli stagisti e che cosa accade veramente nelle aziende? Dal 2007 Eleonora Voltolina, 32 anni, giornalista, si occupa di informare e sostenere gli stagisti attraverso il sito www.repubblicadeglistagisti. it. Da poco ha anche pubblicato un libro: La Repubblica degli stagisti. Come non farsi sfruttare (Saggi Tascabili Laterza, 214 pagine, 12 euro) che raccoglie storie vere di ragazzi alle prese con questa discussa esperienza di lavoro.

- Da dove nasce questo interesse per il mondo degli stage? Sei stata anche tu una stagista?
«Sì. Durante la mia carriera universitaria e prima di fare l’esame da giornalista ho fatto cinque stage. Lo dico anche nel libro: una delle spinte ad aprire il blog, che poi è diventato un sito, è nata proprio da un’esperienza personale. Ho sperimentato tutti i tipi di stage: stage gratuiti, con rimborsi spese e stage pagati poco».

- Qual è l’intento del sito?
«Vogliamo fare informazione. Il fatto è che quando si parla di stage tutto cambia a seconda dell’età. Se sei un ragazzo di 22 anni e dopo lo stage non ti assumono, non ti cambia la vita. Invece, se hai 28 anni e sei all’ennesimo stage, la frustrazione aumenta ed è umiliante. La domanda che tutti si pongono è: “Quando arriverà un contratto vero?”».

- Parliamo del sito. Tra gli iscritti ci sono regioni più rappresentate di altre?
«Gli iscritti al sito sono più di 15mila. La maggior parte sono della Lombardia e del Lazio, ma è ovvio. Infatti se sommiamo il numero di stagisti presenti a Milano e a Roma, ne contiamo 70mila. Se consideriamo che in totale gli stagisti nelle imprese italiane sono circa 300mila, è evidente che sono due casi molto rappresentativi. La cosa interessante è che subito dopo, per numero di iscritti, ci sono la Campania e la Puglia. Questo perché sono le realtà in cui ci sono più problemi e difficoltà. Abbiamo anche diverse visite di italiani dall’estero».

- Che tipo di segnalazioni ricevete?
«Ci sono ragazzi che ci scrivono per sfogarsi, ma che non vogliono rendere pubbliche le loro storie. C’è una sorta di omertà. Quello che davvero mi disgusta è sentire i soprusi, che sono di due tipi: inconsapevoli e consapevoli. I primi riguardano le imprese “ignoranti”, cioè quelle che trattano gli stagisti come dipendenti, perché non conoscono le regole. Al contrario i soprusi consapevoli sono quelli delle aziende che agiscono in malafede e promettono agli stagisti cose che non possono mantenere (per esempio l’assunzione), in cambio del loro silenzio».

- I ragazzi conoscono i loro diritti di stagisti?
«Devo dire che, anche grazie al nostro lavoro, sempre più ragazzi sono informati sugli stage. In generale però c’è poca consapevolezza e anche quando c’è emerge la paura. La paura di farsi valere, di abbandonare uno stage. Anche chi sa che non c’è speranza di assunzione teme di essere marchiato come rompiscatole. La mia paura è che questa sia una generazione di giovani che non vogliono esprimere voci fuori dal coro e che si rassegnano allo status quo. Molti dicono: “Cosa mi costa stare buono per i sei mesi dello stage?” Ma il tempo a vent’anni è prezioso!»

- Parliamo del libro. Che cosa offre in più del sito?
«Secondo me è un buon compromesso per dare tante informazioni e per permettere a chi lo legge di identificarsi. Quelle che racconto sono storie vere, di persone con nomi veri e ognuna di loro è un esempio di una problematica. C’è il capitolo che parla di chi ha deciso di andare all’estero, quello in cui ragiono sulle normative che riguardano gli stage. Nell’ultimo faccio una serie di proposte e spiego cos’è per me uno stage buono».

- Qual è il problema dell’Italia in fatto di stage?
«Noi abbiamo una mentalità “mammona”. Una famiglia svedese non si sognerebbe mai di mantenere un figlio a pochi mesi dalla laurea o dopo l’università. Di conseguenza i ragazzi non accetterebbero uno stage non retribuito. Le famiglie italiane, invece, hanno paura che i propri figli cadano, che sbaglino, e così li riempiono di materassi per evitare che si facciano male. E così si accettano stage gratuiti. D’altronde il ministro del Lavoro Sacconi e il ministro dell’Istruzione Gelmini hanno affermato che il welfare italiano è fondato sulle famiglie».

- Ma quella dello stagista che porta il caffè e fa le fotocopie è una leggenda metropolitana, o è la realtà?
«Possono esserci due tipi di situazioni: quella in cui lo stagista riceve delle sottomansioni, come fare solo le fotocopie e quella in cui viene iper-responsabilizzato, cioè gli vengono assegnati gli stessi compiti di un dipendente. Nel primo caso consiglio sempre di interrompere lo stage».

- Ma ci sono delle ispezioni?
«Ci sono, ma sono rare. Per il resto il mondo degli stage è un far west senza controllo».

Ludovica Scaletti è giornalista praticante. Studia alla Scuola Superiore di Giornalismo dell’ateneo di Bologna

     
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