Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
Vai a www.possibiliaeditore.eu |
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"Alcuni partigiani davanti
alla sede della Garelli"
foto di Fondazione Isec |
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Liberazione: intervista a
una testimone Una nuova
Resistenza? Neanche per sogno! Anna
Galeazzi, 72 anni, racconta i giorni che sono diventati la festa
nazionale. A Sesto San Giovanni euforia, ma anche paura e violenza.
«Ma ai giovani di oggi non so più che dire» di
Camilla Macchioni |
Per qualcuno Sesto San Giovanni, 81mila abitanti, è ancora
la Stalingrado d’Italia. La città simbolo del movimento operaio è
cambiata moltissimo: oggi le grandi fabbriche sono un ricordo. Ma
nella storia dei sestesi resta, pesante come una pietra, quella Medaglia
d’oro al Valor Militare che le dure lotte di Liberazione di operai
e tanti altri cittadini valsero alla città. «Quel 25
aprile io avevo solo sei anni. I ricordi non sono molti, ma mi sembra
di sentire ancora quel clima di euforia generale, di grande festa».
Anna Galeazzi tenta di riportare alla mente qualche dettaglio di quella
data storica. - Perché la nostra città è stata uno degli
epicentri di coloro che si opposero? «Sesto era una città
di “compagni”. Avevamo le fabbriche e c’era una forte classe operaia
con una coscienza ben radicata. Quando i tedeschi rubarono tutte le
attrezzature dai nostri stabilimenti, il risentimento contro di loro
non fece che aumentare. Poi furono occupate le industrie Falck, Breda
e Marelli, e gli scioperi, dalla fucina sestese, si diffusero in tutta
Milano. È anche grazie a queste lotte che si formarono i primi nuclei
partigiani». - Una città di soli “compagni”, quindi?
«La maggior parte dei partigiani sestesi era comunista, ma c’erano
anche tanti cattolici. Uomini di ogni età, professione e ideologia,
tutti uniti da un unico scopo: liberare il Paese da un’oppressione
divenuta ormai intollerabile. A Sesto, abbiamo vissuto la Resistenza
più che altrove. Quando sono arrivati gli americani, il nord era già
stato liberato dai partigiani. Io a Sesto, gli americani me li ricordo
poco; qui, più che altro, si sentiva parlare di Resistenza».
- Com’era il clima di quei giorni? «Il Paese stava per
essere liberato: ovviamente eravamo tutti elettrizzati. Ma sui volti
della gente non si leggeva solo gioia o speranza; io vedevo la paura.
C’erano una gran confusione, tanti episodi di violenza, molto sangue.
Per ogni fascista morto, dieci compagni venivano uccisi. Fogagnolo,
Gioberti e Fiorani [cui Sesto San Giovanni ha intitolato altrettante
vie, ndr] sono solo pochi nomi di una lista interminabile».
- La vendetta era quindi tangibile. «Gli errori sono stati
fatti da entrambe le parti, è difficile giudicare in modo obiettivo.
In guerra, poi, ogni valore viene sovvertito. I militari erano sbandati,
non avevano guida. Ripenso non solo ai compagni trucidati, ma anche
a piazzale Loreto: tutti quei fascisti appesi a testa in giù... La
situazione era degenerata: le vittime del regime si vendicavano per
tutto il male subito. Mio padre, ad esempio, veniva obbligato a prendere
l’olio di ricino. Dopo la Liberazione, a Sesto hanno istituito il
tribunale del popolo. Molte donne venivano rasate a zero, perché accusate
di avere avuto rapporti coi fascisti, o di essere bigotte».
- Cosa prova a pensare che, prima o poi, non ci saranno più testimonianze
dirette di tutto questo? «Vede, la guerra di Liberazione è
un’esperienza che ha segnato me come tante altre persone. Per un po’
siamo andati bene: gli anni Sessanta hanno aperto le porte a una grande
rinascita. Poi, è arrivata una generazione che non ha memoria di nulla.
E la scuola non aiuta. I libri di Storia sono scritti seguendo due
diverse ideologie, di destra e di sinistra. Se chi scrive non sa essere
obiettivo, che cosa rimane ai ragazzi? Del resto, io ai giovani non
saprei proprio che cosa dire. Non li vedo molto motivati. Bisognerebbe
che succedesse qualcosa di forte». - Un’altra Resistenza?
«No. Nel modo più assoluto. Mai più guerre, di nessun tipo e per nessun
motivo al mondo». Camilla Macchioni
è laureata in Lettere moderne all’università Statale di Milano.
Collabora con il quindicinale Nuovasesto, scrivendo articoli principalmente
in ambito socio-culturale
Scrivici: redazione@possibilia.eu
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