Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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Stefano Gianuario |
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Verticalità /
2: l’emirato arabo teso verso il cielo Dubai,
la Perla del Deserto Contraddizioni,
fascino ed eccessi tra grattacieli, crociere e un mercato del
lavoro “particolare”. di Stefano
Gianuario |
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Cresce verso l’alto e punta diritto al cielo. Niente di profetico
né tanto meno di biblico anche se Dubai, la Perla del Deserto,
di torri di Babele ne annovera sempre più, per nulla intimorita da
punizioni divine per troppa ambizione. La città-emirato è un trionfo
della verticalità: nell’immaginario collettivo, pensando ai grattacieli,
non balenano più in mente le sole metropoli statunitensi.
Sebbene l’area geografica sia teatro di storia millenaria, Dubai è
nuova di zecca per l’immagine che offre di sé, in costante evoluzione
al punto da confondere chi l’ha vista una manciata d’anni prima. Una
distesa di grattacieli e di costruzioni letteralmente faraoniche,
e un cantiere aperto dove il 25% delle gru a uso edilizio al mondo
e instancabili operai lavorano a ritmi frenetici per continuare a
far crescere, verso l’alto, la città. Quali sono le ragioni di questa
corsa verso il cielo?
Una prima risposta è di carattere economico. Lo sceicco Maktum bin
Rashid Al Maktum aveva interiorizzato una ventina d’anni fa che i
giacimenti di gas e di petrolio - da sempre inferiori rispetto agli
altri Emirati Arabi - si sarebbero esauriti in fretta e di pari passo
si sarebbe dovuto ridurre anche il tenore di vita da sceicco,
per l’appunto. Ed ecco l’alzata di ingegno del regnante: lo sviluppo
economico di Dubai sarebbe rimasto inalterato grazie a un settore
non contemplato sino a quel momento: il turismo. Un’intuizione che
ha portato nel 2009 a far pesare il turismo per il 19% del prodotto
interno lordo e a ospitare 5,64 milioni di visitatori. Un’idea che
quando l’amato sovrano è venuto a mancare, nel 2004, ha trovato sostegno
nel suo fratello successore, Mohammed bin Rashid Al Maktum, che ha
continuato a investire fior fiore di petro-gas-dollari per incentivare
i flussi turistici.
Ma come attrarre viaggiatori da tutto il globo? A questa domanda trova
risposta Hamad bin Mejren, executive director of business tourism
of Dubai Dtcm: «L’obiettivo di Dubai è diventare una delle più grandi
attrazioni mondiali. Per farlo, non resta che creare attrazioni uniche
al mondo». Attrattiva quindi creata dall’unicità, dall’esclusività
più che da bellezze storiche o naturalistiche. Sembra quasi un gioco
di parole ma a Dubai diventa realtà. Qualche esempio? Si può partire
dall’alto, guarda caso. Il celebre Burj Al Arab, la “vela” simbolo
dell’emirato, inaugurata nel 2002, sfiora 321 metri di altezza ed
è stata sino a una manciata di mesi fa l’hotel più alto del mondo.
Il primato, l’ha perso a inizio anno, per cederlo ai 333 metri del
Rose Tower, anch’esso, neanche a dirlo, a Dubai. Ma per lambire le
nuvole, 300 metri d’altezza sembravano pochi. E si doveva considerare
il rischio che la competizione delle metropoli del Sud-est asiatico
- su tutte Shangai e Hong Kong - si facesse sfrenata: ecco quindi
arrivare il Burj Khalifa, costato qualcosa come 1,5 miliardi di dollari
e inaugurato proprio a inizio 2010, che con 828 metri di altezza,
ha centrato il record della struttura più alta al mondo, fugando ogni
dubbio sulla vocazione all’espansione verticale di Dubai.
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Stefano Gianuario |
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Sdraiata sul fianco, questa verticalità diventa orizzontalità. Nessun
paradosso della fisica, ma Dubai è stato il primo porto del Golfo
ad aprirsi alle crociere. E i “gioielli del mare” con la loro stazza,
la loro grandezza e il loro prestigio, possono essere considerati
grattacieli in orizzontale. Per non sbagliare, gli arabi hanno
investito parecchio per accogliere i grattacieli orizzontali.
Il nuovo terminal crociere al porto di Dubai ha aperto i battenti
a febbraio ed è stato solo il punto principale di un piano del governo
vòlto a intensificare il segmento crocieristico, che conta su un budget
di 25 miliardi di dollari. Soldi ben spesi: sono i numeri a dirlo,
basti considerare che nel 2001 i crocieristi erano poco più di 7mila,
mentre nel 2008/2009 gli arrivi via mare hanno raggiunto quota 260mila
e l’obiettivo per il 2015 è fissato a 575mila crocieristi per un totale
di 195 navi.
Ecco un’altra missione, un altro cammino che persegue l’emirato: la
corsa alla grandezza, alla politica dell’eccesso, della tracotanza
e perché no, al pacchiano. Ancora una volta si punta in alto quindi,
al meglio, al di più. Lo dimostrano i primati, la scia di record
inanellata mese dopo mese. The Dubai Mall è un centro commerciale
da 1.200 negozi, che appena vista la luce, nella primavera 2009, è
diventato il più grande al mondo. Ma sono già aperti i cantieri per
tenere salda la bandiera dell’emirato su questo primato: entro il
2015 sarà inaugurato il Dubailand che raddoppierà le dimensioni del
Dubai Mall. E ancora, in un altro centro commerciale - il Mall of
Emirates - trova casa lo Ski Dubai, spazio che offre una discesa innevata
di 400 metri, permettendo quindi di sciare in mezzo al deserto. Un’attrazione
esclusiva che sarà affiancata a breve da un altro snow dome
cinque volte più grande.
A Dubai l’altezza è da leggersi anche come nobiltà, come prestigio,
concetti che per gli emiratini parlano italiano. Non a caso qui è
in costruzione il Palazzo Versace, un hotel in stile reggia di Versailles
arredato in rigoroso stile italiano, come il neonato, primo al mondo,
hotel Giorgio Armani. |
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Stefano Gianuario |
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Ma ci sono aspetti della verticalità meno nobili, che non fanno sorridere
né tanto meno meravigliare. Li incontriamo se la verticalità è intesa
come gerarchia, come scala sociale, con divari imbarazzanti. Il Pil
pro capite degli Emirati Arabi è stabile nella top ten mondiale, con
circa 55mila dollari annui, stando all’ultima rilevazione del Fondo
Monetario Internazionale. Dato che non deve far credere però a un
benessere generalizzato. Su circa 1,8 milioni di abitanti, solo il
10% è autoctono, mentre il restante 90% è straniero. A Dubai si importa
tutto, e se una piccola percentuale di lavoratori esteri è rappresentata
dall’intellighenzia europea e statunitense che opera nel terziario
avanzato, nella finanza, nell’ingegneria o nella ricerca tecnologica,
la stragrande maggioranza è incarnata da altri lavoratori, che provengono
dal Sud-est asiatico, dal Subcontinente indiano e si occupano di tutte
le mansioni più umili e pesanti. Vera manodopera, che lavora soprattutto
nell’edilizia, per permettere la corsa verso il cielo. Orari
di lavoro da pre-rivoluzione industriale con turni sino a 18 ore,
sei giorni su sette e straordinari non pagati. Gli stipendi non superano
500-600 dirham (100-120 euro al mese) ma per pagarsi il cibo e un
posto dove dormire lo stipendio si dimezza.
Molti operai preferiscono ripiegare sui campi di accoglienza per lavoratori
stranieri, dove ammassati in poche stanze e in precarie condizioni
sanitarie non è difficile incappare in malattie. Ecco sorgere il problema
della sanità, non garantita e dai costi esorbitanti. Dopo i primi
scioperi del 2007, ad oggi ancora illegali, dei lavoratori stranieri,
il governo di Dubai ha preso dei primi timidi provvedimenti, come
dimostra il Manual of the General Criteria for the Workers’ Accommodations,
redatto per tutelare la dignità dei lavoratori stranieri e approvato
nel settembre 2009. Ma Nicholas McGeehan, fondatore dell’associazione
Mafiwasta (in arabo, “senza identità”) che si batte per tutelare i
diritti dei lavoratori stranieri negli Emirati Arabi, ha dichiarato
in un’intervista a Peacereporter che si tratta solo di palliativi
o, meglio, di promesse per tenere a bada la comunità internazionale.
McGeehan assicura che le condizioni dei lavoratori stranieri rasentano
ancora la quasi-schiavitù.
Si può restare abbagliati da Dubai, per la sua grandezza, per lo sfarzo,
l’opulenza e la possibilità di trovare pressoché tutto quanto possa
offrire il mondo contemporaneo. Oppure percepire un gran senso di
smarrimento e turbamento per l’altra faccia della medaglia: l’eccesso,
la grandezza smisurata e i trattamenti riservati alla manovalanza
straniera. Sta alla sensibilità e alla consapevolezza di ognuno. Di
certo, l’emirato è entrato nel novero delle città futuribili,
delle realtà uniche al mondo, e ha fatto leva sulla sua ambizione,
nel suo puntare in alto, verso il cielo. Stefano
Gianuario è nato a Milano nel 1985. Giornalista pubblicista, freelance,
scrive di turismo, cronaca e musica. Suona nella noise band Hezel.
Nel 2004 ha pubblicato il romanzo Le cose di Jack |
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