Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
Vai a www.possibiliaeditore.eu |
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San Giovanni in Laterano,
Roma - Foto di Samuel Cogliati |
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La fotografia
alle prese con la legge Non
c’è clic senza consenso Se
credete che i monumenti non abbiano copyright... di
Cecilia Trevisi |
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Vi siete mai chiesti se i click della vostra macchina fotografica
siano tutti leciti? Facciamo qualche esempio. Siete a Roma davanti
al Colosseo, come resistere a una bella fotografia? Click!, detto
fatto, un primo piano che occupa tutta la foto. Poi proseguite ed
ecco la settecentesca fontana di Trevi progettata da Nicolò Salvi:
click, un’altra foto. E l’auditorium progettato da Renzo Piano? come
non immortalarlo?! Tornati a casa, scaricate le foto sul computer
e decidete di caricarle su un sito internet, per condividerle con
quanti più amici possibile. Vi siete mai chiesti se questo è lecito
o se dovete chiedere l’autorizzazione a qualcuno?
La questione non è semplice. Il 28 settembre 2007, il parlamentare
Franco Grillini (all’epoca Partito Socialista, oggi Italia dei Valori)
ha proposto un’interrogazione a risposta scritta all’allora ministro
dei Beni e delle Attività culturali (all’epoca Francesco Rutelli),
chiedendogli di intervenire normativamente riguardo al “diritto di
panorama” (panorama freedom), cioè il diritto che permette
a chiunque di fotografare e riprodurre quanto pubblicamente visibile.
Il 5 febbraio 2008, il sottosegretario Danielle Mazzonis (Prc), rispose
richiamando un principio alla base del nostro ordinamento, e cioè
che «tutto quello che non è espressamente vietato è consentito» per
giungere poi alla conclusione che: «In Italia non essendo prevista
una disciplina specifica, deve ritenersi lecito e quindi possibile
fotografare liberamente tutte le opere visibili, dal nuovo edificio
dell’Ara Pacis al Colosseo, per qualunque scopo anche commerciale
salvo che, modificando o alterando il soggetto, non si arrivi ad offenderne
il decoro ed i valori che esso esprime».
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Bernardino Luini, affreschi
a Santa Maria degli Angioli,
Lugano (Svizzera)
Foto di Samuel Cogliati |
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Che cosa voglio fare della mia foto?
In realtà, la situazione si complica per le opere (a cui appartengono
edifici, monumenti, quadri, ecc...) di autori/progettisti ancora viventi
o morti da meno di 70 anni. In questo caso, bisogna farsi detective
e cercare di capire innanzi tutto chi sia l’autore dell’opera che
stiamo immortalando, poi indagare sullo “stato di salute” dell’autore
stesso (vivente/deceduto? e, in questo caso, da quanti anni?) e, in
fine, decidere che cosa vogliamo fare della nostra foto: 1. conservarla
semplicemente nella memoria del nostro pc; 2. caricarla su un sito
internet; 3. utilizzarla per farne gadget o altri oggetti con fini
commerciali.
Se l’artista è morto da più di 70 anni e l’opera si trova in un luogo
pubblico (parco, piazza, ecc...) potete stare tranquilli: nessuno
potrà rivendicare alcunché.
Se invece l’artista è ancora vivente oppure è morto da meno di 70
anni, state attenti all’uso che volete fare della vostra foto, perché
state entrando nel “terreno minato” dei diritti d’autore. Se decidete
di utilizzarla per fini unicamente didattici o scientifici senza scopo
di lucro, allora potete pubblicare la vostra foto sulla rete internet
(a condizione che sia a bassa risoluzione o degradata) ma dovete indicare
il nome dell’artista e il titolo dell’opera.
Se invece vi prefiggete di utilizzarla per scopi commerciali, allora
fate molta attenzione: dovrete pagare i diritti patrimoniali al titolare
dell’opera (genericamente noti come “diritti d’autore”). La fotografia
infatti è una riproduzione dell’opera, consentita al solo titolare
dei suoi diritti di sfruttamento.
Ritornando al nostro esempio: se fotografo il Colosseo e ne faccio
delle magliette, secondo il parere espresso dal ministero dei Beni
e delle Attività culturali, posso stare tranquillo (il progettista
è sicuramente morto da più di 70 anni e non esistendo una norma che
espressamente vieti questa attività nessuno potrà rivendicare alcunché).
Se invece sulla maglietta volete riprodurre l’auditorium di Renzo
Piano, oltre a indicare il nome dell’architetto, sarà necessario ottenere
una sua autorizzazione e corrispondergli i diritti d’autore per la
riproduzione dell’opera. Se le cose si complicano...
In realtà la “libertà di paesaggio” deve tener conto non solo della
legge sul diritto d’autore ma anche di quanto disciplinato nel Codice
dei beni culturali e del paesaggio. L’articolo 107, prevede che la
«riproduzione nonché l’uso strumentale e precario» delle opere considerate
beni culturali (ossia aventi più di cinquant’anni e di interesse culturale)
necessiti di un’autorizzazione da parte del ministero, delle regioni
e degli altri enti pubblici territoriali che li hanno «in consegna».
Sembrerebbe quindi che per fotografare il Colosseo bisognerebbe ottenere
una preventiva autorizzazione da parte delle competenti autorità amministrative...
E negli altri Stati?
La situazione non appare più semplice in altri Paesi dell’Unione Europea.
In Germania, è prevista la “libertà di paesaggio” limitatamente a
edifici e sculture pubblicamente visibili. In Austria, questa libertà
è estesa alle zone accessibili al pubblico all’interno di edifici
(per esempio musei). In Danimarca, la libertà di paesaggio è limitata
ai soli edifici (purché la pubblicazione non avvenga per scopi commerciali),
mentre restano escluse le altre forme di opere d’arte. Gli svizzeri
sono più indulgenti e consentono di fotografare liberamente per fini
commerciali (e non) le opere installate in modo permanente in un luogo
pubblico o in un luogo accessibile al pubblico. In Belgio, si possono
liberamente fotografare gli edifici ma per le sculture costituenti
il soggetto principale della fotografia è necessario ottenere un’autorizzazione
specifica.
Alla fine, per non sbagliare, conservate i vostri click sul vostro
computer e guardateli tutte le volte che volete.
Se proprio avete voglia di realizzare delle magliette, sbizzarritevi
con la matita, fate un bella foto al disegno e mandatelo in stampa.
Attenzione, però: che il disegno sia frutto della vostra fantasia
e non ispirazione del “genio” di altri, altrimenti tornate al punto
di partenza! Cecilia Trevisi è avvocato
del foro di Milano esperta in proprietà intellettuale
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Torri Garisenda e Asinelli,
Bologna
Foto di Samuel Cogliati |
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Meraviglie legali
di Samuel Cogliati
1. Il diritto d’autore è una materia importante ma contraddittoria.
Vuole mettere ordine e soprattutto tutelare il guadagno tratto da
una creazione e al tempo stesso la possibilità del pubblico di fruire
di un’opera. Ma anche se, magicamente, la legge trovasse l’equilibrio
ideale tra queste due necessità, resterebbe il problema di fondo:
la commercializzazione della cultura.
Il diritto d’autore è composto di due parti: i diritti “morali” (la
paternità dell’opera, cioè la propria firma, incedibili) e i diritti
“patrimoniali” (il possibile guadagno). La parte patrimoniale nasce
dal fatto che arte e cultura sono immerse nelle regole del libero
mercato, il quale che le norme siano giuste o meno emargina una
parte di popolazione: quella che non può permettersi di acquistare
cultura. Immaginare di sottrarre la creatività umana alle logiche
capitalistiche è probabilmente illusorio, forse persino controproducente.
Ma la legge faticherà sempre di più a disciplinare la “democratizzazione”
di arte e cultura: internet, ad esempio, tecnicamente facilita l’accesso
alla cultura, ma complica la protezione degli interessi degli autori.
Ecco perché ci sembra che il diritto d’autore arranchi nel suo proposito
di tutelare tutti gli interessi in gioco, tra loro conflittuali. Per
quanto si legiferi, nei fatti si arriva a un “punto di rottura” in
cui non è il codice a decidere se si può guardare o scaricare gratuitamente
cultura, ma il denaro.
D’altra parte, ogni comunità si evolve grazie ai suoi pensatori. Più
sono numerosi, più una società progredisce. Non si può quindi fare
a meno di trovare una soluzione per il loro reddito. Prima che il
fisco penetrasse nei meandri della società, istituendo lo Stato sociale,
ci pensavano i mecenati.
Oggi, sarebbe forse utile trovare soluzioni alternative o complementari
alla logica un po’ meschina del diritto patrimoniale. Ad esempio,
finanziando la creatività attraverso tributi su tutti i contribuenti,
ovviamente proporzionati al loro reddito.
La nostra società va invece nella direzione opposta: decima i fondi
alla cultura, considerata da sempre il primo settore sacrificabile.
A medio-lungo termine, i danni di questa politica rischiano di essere
enormi per tutti.
2. Spesso, la legge è buffa. Nel caso del diritto di paesaggio (e
di quello d’autore, ad esso connesso), almeno tre cose mi paiono curiose.
Primo: la durata dei diritti patrimoniali è di 70 anni dopo la morte
dell’autore. Si può immaginare che corrisponda grosso modo alla vita
di un essere umano. Ma a percepire il denaro saranno gli eredi per
circa tre generazioni. Difficile comprendere perché figli, nipoti
e pronipoti debbano godere dell’opera di un creativo anche dopo la
sua morte. Un industriale lascia ai suoi eredi una fabbrica, che continuerà
a produrre reddito anche dopo 70 anni, oppure smetterà molto prima,
se gestita male.
Secondo: per pubblicarla con scopi scientifici o didattici su internet,
una foto deve essere «a bassa risoluzione». Come accade spesso, la
legge non quantifica (in questo caso, sarebbe semplicissimo) ma lascia
margine d’azione all’interpretazione della giurisprudenza e della
dottrina. Che faccia comodo?
Terzo: per essere considerata bene culturale, tra le altre cose un’opera
deve essere vecchia di almeno 50 anni. Norma preoccupante: esclude
le opere recenti, qualunque sia il loro valore (l’auditorium di Renzo
Piano, ad esempio); riflette la mentalità passatista italiana, che
(sulla carta) tiene nella dovuta considerazione l’immenso patrimonio
artistico nazionale, ma fatica a proiettarsi nel futuro. |
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