(San Giovanni in Laterano, Roma; foto Samuel Cogliati)
La fotografia alle prese con la legge. Non c’è clic senza consenso. Se credete che i monumenti non abbiano copyright…
Torna prepotentemente alla ribalta un tema che Possibilia aveva anticipato 5 anni fa...
di Cecilia Trevisi*
Vi siete mai chiesti se i click della vostra macchina fotografica siano tutti leciti? Facciamo qualche esempio. Siete a Roma davanti al Colosseo, come resistere a una bella fotografia? Click!, detto fatto, un primo piano che occupa tutta la foto. Poi proseguite ed ecco la settecentesca fontana di Trevi progettata da Nicolò Salvi: click, un’altra foto. E l’auditorium progettato da Renzo Piano? come non immortalarlo?! Tornati a casa, scaricate le foto sul computer e decidete di caricarle su un sito internet, per condividerle con quanti più amici possibile. Vi siete mai chiesti se questo è lecito o se dovete chiedere l’autorizzazione a qualcuno?
La questione non è semplice. Il 28 settembre 2007, il parlamentare Franco Grillini (all’epoca Partito Socialista, oggi Italia dei Valori) ha proposto un’interrogazione a risposta scritta all’allora ministro dei Beni e delle Attività culturali (all’epoca Francesco Rutelli), chiedendogli di intervenire normativamente riguardo al “diritto di panorama” (panorama freedom), cioè il diritto che permette a chiunque di fotografare e riprodurre quanto pubblicamente visibile.
Il 5 febbraio 2008, il sottosegretario Danielle Mazzonis (Prc), rispose richiamando un principio alla base del nostro ordinamento, e cioè che «tutto quello che non è espressamente vietato è consentito» per giungere poi alla conclusione che: «In Italia non essendo prevista una disciplina specifica, deve ritenersi lecito e quindi possibile fotografare liberamente tutte le opere visibili, dal nuovo edificio dell’Ara Pacis al Colosseo, per qualunque scopo anche commerciale salvo che, modificando o alterando il soggetto, non si arrivi ad offenderne il decoro ed i valori che esso esprime».
Che cosa voglio fare della mia foto?
In realtà, la situazione si complica per le opere (a cui appartengono edifici, monumenti, quadri, ecc…) di autori/progettisti ancora viventi o morti da meno di 70 anni. In questo caso, bisogna farsi detective e cercare di capire innanzi tutto chi sia l’autore dell’opera che stiamo immortalando, poi indagare sullo “stato di salute” dell’autore stesso (vivente/deceduto? e, in questo caso, da quanti anni?) e, in fine, decidere che cosa vogliamo fare della nostra foto: 1. conservarla semplicemente nella memoria del nostro pc; 2. caricarla su un sito internet; 3. utilizzarla per farne gadget o altri oggetti con fini commerciali.
Se l’artista è morto da più di 70 anni e l’opera si trova in un luogo pubblico (parco, piazza, ecc…) potete stare tranquilli: nessuno potrà rivendicare alcunché.
Se invece l’artista è ancora vivente oppure è morto da meno di 70 anni, state attenti all’uso che volete fare della vostra foto, perché state entrando nel “terreno minato” dei diritti d’autore. Se decidete di utilizzarla per fini unicamente didattici o scientifici senza scopo di lucro, allora potete pubblicare la vostra foto sulla rete internet (a condizione che sia a bassa risoluzione o degradata) ma dovete indicare il nome dell’artista e il titolo dell’opera.
Se invece vi prefiggete di utilizzarla per scopi commerciali, allora fate molta attenzione: dovrete pagare i diritti patrimoniali al titolare dell’opera (genericamente noti come “diritti d’autore”). La fotografia infatti è una riproduzione dell’opera, consentita al solo titolare dei suoi diritti di sfruttamento.
Ritornando al nostro esempio: se fotografo il Colosseo e ne faccio delle magliette, secondo il parere espresso dal ministero dei Beni e delle Attività culturali, posso stare tranquillo (il progettista è sicuramente morto da più di 70 anni e non esistendo una norma che espressamente vieti questa attività nessuno potrà rivendicare alcunché). Se invece sulla maglietta volete riprodurre l’auditorium di Renzo Piano, oltre a indicare il nome dell’architetto, sarà necessario ottenere una sua autorizzazione e corrispondergli i diritti d’autore per la riproduzione dell’opera.
Se le cose si complicano…
In realtà la “libertà di paesaggio” deve tener conto non solo della legge sul diritto d’autore ma anche di quanto disciplinato nel Codice dei beni culturali e del paesaggio. L’articolo 107, prevede che la «riproduzione nonché l’uso strumentale e precario» delle opere considerate beni culturali (ossia aventi più di cinquant’anni e di interesse culturale) necessiti di un’autorizzazione da parte del ministero, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali che li hanno «in consegna».
Sembrerebbe quindi che per fotografare il Colosseo bisognerebbe ottenere una preventiva autorizzazione da parte delle competenti autorità amministrative…
E negli altri Stati?
La situazione non appare più semplice in altri Paesi dell’Unione Europea. In Germania, è prevista la “libertà di paesaggio” limitatamente a edifici e sculture pubblicamente visibili. In Austria, questa libertà è estesa alle zone accessibili al pubblico all’interno di edifici (per esempio musei). In Danimarca, la libertà di paesaggio è limitata ai soli edifici (purché la pubblicazione non avvenga per scopi commerciali), mentre restano escluse le altre forme di opere d’arte. Gli svizzeri sono più indulgenti e consentono di fotografare liberamente per fini commerciali (e non) le opere installate in modo permanente in un luogo pubblico o in un luogo accessibile al pubblico. In Belgio, si possono liberamente fotografare gli edifici ma per le sculture costituenti il soggetto principale della fotografia è necessario ottenere un’autorizzazione specifica.
Alla fine, per non sbagliare, conservate i vostri click sul vostro computer e guardateli tutte le volte che volete.
Se proprio avete voglia di realizzare delle magliette, sbizzarritevi con la matita, fate un bella foto al disegno e mandatelo in stampa. Attenzione, però: che il disegno sia frutto della vostra fantasia e non ispirazione del “genio” di altri, altrimenti tornate al punto di partenza!
*Cecilia Trevisi è avvocato del foro di Milano esperta in proprietà intellettuale
Meraviglie legali
di Samuel Cogliati1. Il diritto d’autore è una materia importante ma contraddittoria. Vuole mettere ordine e soprattutto tutelare il guadagno tratto da una creazione e al tempo stesso la possibilità del pubblico di fruire di un’opera. Ma anche se, magicamente, la legge trovasse l’equilibrio ideale tra queste due necessità, resterebbe il problema di fondo: la commercializzazione della cultura.
Il diritto d’autore è composto di due parti: i diritti “morali” (la paternità dell’opera, cioè la propria firma, incedibili) e i diritti “patrimoniali” (il possibile guadagno). La parte patrimoniale nasce dal fatto che arte e cultura sono immerse nelle regole del libero mercato, il quale che le norme siano giuste o meno emargina una parte di popolazione: quella che non può permettersi di acquistare cultura. Immaginare di sottrarre la creatività umana alle logiche capitalistiche è probabilmente illusorio, forse persino controproducente. Ma la legge faticherà sempre di più a disciplinare la “democratizzazione” di arte e cultura: internet, ad esempio, tecnicamente facilita l’accesso alla cultura, ma complica la protezione degli interessi degli autori. Ecco perché ci sembra che il diritto d’autore arranchi nel suo proposito di tutelare tutti gli interessi in gioco, tra loro conflittuali. Per quanto si legiferi, nei fatti si arriva a un “punto di rottura” in cui non è il codice a decidere se si può guardare o scaricare gratuitamente cultura, ma il denaro.
D’altra parte, ogni comunità si evolve grazie ai suoi pensatori. Più sono numerosi, più una società progredisce. Non si può quindi fare a meno di trovare una soluzione per il loro reddito. Prima che il fisco penetrasse nei meandri della società, istituendo lo Stato sociale, ci pensavano i mecenati.
Oggi, sarebbe forse utile trovare soluzioni alternative o complementari alla logica un po’ meschina del diritto patrimoniale. Ad esempio, finanziando la creatività attraverso tributi su tutti i contribuenti, ovviamente proporzionati al loro reddito.
La nostra società va invece nella direzione opposta: decima i fondi alla cultura, considerata da sempre il primo settore sacrificabile. A medio-lungo termine, i danni di questa politica rischiano di essere enormi per tutti.
2. Spesso, la legge è buffa. Nel caso del diritto di paesaggio (e di quello d’autore, ad esso connesso), almeno tre cose mi paiono curiose.
Primo: la durata dei diritti patrimoniali è di 70 anni dopo la morte dell’autore. Si può immaginare che corrisponda grosso modo alla vita di un essere umano. Ma a percepire il denaro saranno gli eredi per circa tre generazioni. Difficile comprendere perché figli, nipoti e pronipoti debbano godere dell’opera di un creativo anche dopo la sua morte. Un industriale lascia ai suoi eredi una fabbrica, che continuerà a produrre reddito anche dopo 70 anni, oppure smetterà molto prima, se gestita male.
Secondo: per pubblicarla con scopi scientifici o didattici su internet, una foto deve essere «a bassa risoluzione». Come accade spesso, la legge non quantifica (in questo caso, sarebbe semplicissimo) ma lascia margine d’azione all’interpretazione della giurisprudenza e della dottrina. Che faccia comodo?
Terzo: per essere considerata bene culturale, tra le altre cose un’opera deve essere vecchia di almeno 50 anni. Norma preoccupante: esclude le opere recenti, qualunque sia il loro valore (l’auditorium di Renzo Piano, ad esempio); riflette la mentalità passatista italiana, che (sulla carta) tiene nella dovuta considerazione l’immenso patrimonio artistico nazionale, ma fatica a proiettarsi nel futuro.