Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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foto Paola Ardizzoni (A.F.C.)
e Emilio Pereda (A.F.C.) |
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Cinema: l’ultimo
lavoro del maestro castigliano Gli
abbracci spezzati Pedro Almodóvar
alla prova del tempo. |
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La musa canta, Almodóvar scrive. O in questo caso, gira. La bellezza,
il fascino, l’eleganza incarnati in una persona-personaggio, Penélope
Cruz, che diventa motore, non del tutto immobile, del film Gli
abbracci spezzati. Calamita per gli uomini ma senza attingere
agli stereotipi della femme fatale, l’attrice riesce a far
ruotare intorno a sé una storia vorticosa, con molti personaggi, alcuni
troppo stilizzati per essere interessanti. E lo spettatore non può
che seguire lei se non vuol perdersi nei piani temporali che intrecciano
i momenti della vicenda.
Pedro Almodóvar salva il suo film grazie alla sua musa, anche se un
regista del suo peso sa che da lui tutti si aspettano il meglio. Un
po’ come quando i professori mettono un voto basso a un bravo allievo
perché “poteva fare di più”. Svantaggi dell’essere un grande regista.
Che, in tempi in cui piace rimpiangere il passato, corre il rischio
di finire nella categoria del “non è più quello di una volta”. Forse
perché con questo lavoro voleva dire tutto, ma il risultato è un film
muto. Tanti temi, troppi, tutti ricchi e densi, nessuno veramente
originale. E poi lanciati addosso allo spettatore, senza approfondimento.
C’è l’amore, ma non è un film romantico, c’è la passione, ma non è
un film sensuale, c’è il metacinema, ma non riesce a trasmettere il
fascino di questo mondo. E poi ci sono i soliti stereotipi - fuori
luogo, per giunta - come i ragazzi che si drogano, o altri ingredienti
da melodramma, le mamme single che rimpiangono l’amarezza trasmessa
o i pentiti che entrano poco nella parte.
In fine, l’interesse per le scale. Non è una passione immotivata:
davvero possono diventare metafora di vita, simbolo di crescita, di
superamento del dramma, di catarsi. Ma negli Abbracci spezzati
le scale diventano un elemento tra tanti e si confondono nella testa
dello spettatore più distratto. È vero: è sbagliato fissarsi sulle
definizioni ed etichettare tutto con un nome. Ma in certi casi aiuterebbe
uscire dalla sala del cinema con le idee chiare su cosa si sia visto.
Giulia Pepe |
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foto Paola Ardizzoni (A.F.C.)
e Emilio Pereda (A.F.C.) |
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Ci sono età e indoli che tendono per natura all’ossessione. Pedro
Almodóvar non è mai stato volatilmente eclettico ma, nonostante una
feconda originalità, è rimasto saldamente radicato a un grappolo di
ossessioni che da vent’anni trasforma in poesia. Un po’ per genio,
un po’ per mestiere.
Proprio il mestiere è il filo conduttore degli Abbracci
spezzati, uscito da poco nelle sale italiane. Innanzi tutto, il
mestiere del cineasta, che tramite il protagonista del film
dà nerbo alla vicenda e contemporaneamente dà agio ad Almodóvar di
parlare di se stesso; in secondo luogo perché il lungometraggio del
maestro castigliano è un’opera “di mestiere”, come si suol dire, ovvero
di maniera, un po’ come quei gol definiti “di rapina” che hanno consacrato
nell’olimpo dei famosi (ma non dei grandi) calciatori come Paolo Rossi
o Pippo Inzaghi.
Quando si fanno cose “di mestiere” dunque meno ispirate le ossessioni
riemergono dal fondo non sradicabile della propria personalità. Negli
Abbracci spezzati ci sono quasi tutte: una squadra super collaudata
(Penélope Cruz, Blanca Portillo, Lola Dueñas, Alberto Iglesias...),
il gusto per i colori vivi, Madrid, la latitanza del padre, l’ingombro
della madre, il culto per le donne, il sesso, la morte, il non-detto
e la parola che dirime la verità. Non si può dare torto ad Almodóvar:
l’universo femminile è davvero più interessante di quello maschile,
i rapporti tra genitori e figli sono irreversibilmente centrali nella
vita di ciascuno, il sesso è un nodo delle nostre esistenze, esattamente
come la morte è una presenza fissa dell’inconscio. Ed ecco perché
l’ultimo, prevedibile, ripetitivo Almodóvar vale la pena, anche se
fatica a lasciare una vera traccia sensibile nella settimana che segue.
«Ho avuto sempre pochissime idee diceva Fabrizio De André, che con
il regista spagnolo ha in comune una classe inequivocabile ma in
compenso fisse». Pedro Almodóvar potrebbe rifare cento volte lo stesso
film, la necessità non verrà mai meno. Samuel Cogliati
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