(Le logge dell’arengario di Milano – foto Aktron / Wikimedia Commons)
Il ristorante con “vista mare” nel cuore di Milano. Con un leggero scarto tra luogo e stile.
di Samuel Cogliati
febbraio 2016
La location, come dicono quelli che sono molto sul pezzo, è al riparo dalle discussioni. Ed è lei, indubitabilmente, a spingere la stragrande maggioranza dei clienti nei locali del ristorante Giacomo Arengario, inaugurato nel gennaio nel 2011 come propaggine dello storico locale di via Sottocorno. Una posizione difficilmente migliorabile, nello stesso stabile del Museo del Novecento: quell’arengario di memoria e gusto fascisti, che occupa parte del lato sud della piazza più celebrata di Milano. Dirimpetto, la sequela dei porticati mengoniani, costruiti negli anni 1870, oltre, ovviamente, a una delle cattedrali cattoliche più famose del mondo.
Molto meglio occuparli, dunque, gli spazi dell’arengario, il che permette di non vederli ma di godere del resto del panorama. Un po’ come succede dalla Tour Montparnasse di Parigi, si prendono due piccioni con una fava: non si vede l’edificio in cui ci si trova, ma si ammira tutto il resto della città. L’arengario a firma Portaluppi-Muzio-Magistretti-Griffini, costruito a partire dai tardi anni Trenta con uno stile ormai asservito al regime e sacrificando la cosiddetta “manica lunga” di Palazzo Reale, non è quanto di più raffinato e coerente si sia potuto immaginare a completamento della piazza simbolo del capoluogo lombardo, già imposta poco dopo l’Unità d’Italia per brutale sventramento dell’antico tessuto urbanistico.
Da Giacomo Arengario ci sono capitato quasi per caso, con il proposito iniziale di un semplice aperitivo. Un momento consumato in quella che è un po’ pomposamente chiamata Hall (ovviamente maiuscola): un salottino grazioso ma un po’ buio, arredato con ispirazioni art déco, dove approda l’ascensore d’ingresso. È però poi difficile resistere alla tentazione di traslocare dalle mura cieche e nere della Hall alle vetrate della sala ristorante che affaccia sulla maestosa piazza del Duomo. Così, alla richiesta improvvisata di un tavolo, il solerte personale – che si rivolge rigorosamente con Monsieur ai signori e Madame alle signore (!?) –, si affretta a cercarti un «tavolo vista mare», tanto che esiti un secondo tra il dubbio di avere capito male, quello di iniziare ad accusare sintomi di demenza senile, e il rigetto di una boutade da Riviera romagnola. Non la prima e non l’ultima dubbia licenza: seguiranno infatti un accennato commento sul numero di ostriche ordinate e lo scenografico raffreddamento dei bicchieri con ghiaccio tritato, prima della mescita dello champagne.
Proprio con lo champagne – un dignitosissimo Gaston Chiquet “cuvée Giacomo” – e con la cucina, Giacomo Arengario recupera un po’ di terreno: buone le ostriche, buoni i ravioli di sgombro, buona la cacio-e-pepe di mare con la bottarga, forse un pizzico sovraccarica. Meno entusiasmante il conto finale: 130 € per quattro calici di champagne, l’acqua, tre ostriche, due primi piatti entry level e altrettante mise en bouche proposte all’aperitivo (senza precisare che comporta una maggiorazione del prezzo della bevanda). Ma si sa: la bellezza non ha prezzo, e per una vista così il prezzo è un dettaglio.
Da provare, dunque, una volta nella vita, l’ebbrezza di cenare tête-à-tête con la Madunina. Magari sperando di non incappare in una rumorosa serata di tavolate russo-americano-anglo-cinesi, che non sembrano pienamente consapevoli del luogo in cui si trovano. Perché i luoghi non sono incolori o impunemente interpretabili: alcuni di essi suggeriscono uno spontaneo decoro che è peccato negligere. E lo stile non si inventa sulle ali di una mal ponderata sicumera, ma si impara giorno per giorno, ricordando che la sobrietà ne è uno dei cardini, e che l’eleganza è quella che non si fa notare, come pare abbiano detto Giorgio Armani, Coco Chanel o forse entrambi.
Giacomo Arengario
Via Marconi, 1
20123 Milano
t. 02.72.09.38.14
info@giacomoarengario.com
www.giacomoarengario.com
Aperto tutti i giorni dalle 12.00 alle 24.00
(ingresso condiviso con il Museo del Novecento, ma non indicato)