Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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© Associazione Amici di
Piero Chiara / Gabriele Marabini |
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Dilettarsi
Le nuove novità
Nuovo album e tour: un Paolo Conte trionfale
alla soglia dei 78 anni.
di Samuel Cogliati |
Ha più di settant’anni e certi applausi, ormai, sarebbero
comunque dovuti per amore. Invece non c’è stato nemmeno
un briciolo di circostanza nell’accoglienza trionfale che i
1.400 spettatori salatamente paganti della sala Verdi del Conservatorio
di Milano hanno tributato al Maestro, venerdì 28 novembre 2014.
Nel centenario dell’inizio del Novecento, Paolo Conte non vive
di rendita. Ne avrebbe diritto e sarebbe comprensibile, dopo quasi
mezzo secolo di onorata carriera. Invece continua a rimettersi in
gioco e a reinventare, nel solco di Snob, ultimo album di
studio pubblicato meno di due mesi fa, e probabilmente miglior lavoro
dell’astigiano da oltre vent’anni.
Reinventarsi. È lo straordinario slancio che Conte dimostra
di coltivare ancora, alla soglia dei 78 anni. La seconda serata della
tappa milanese del suo tour è, come preannunciato, costellata
soprattutto di classici – Max, Aguaplano, Via con me, Alle prese
con una verde milonga, Diavolo rosso, Una giornata al mare... –
ma pochissimi di essi hanno il sapore del déjà entendu.
Va innanzi tutto precisata una cosa: il Paolo Conte di oggi ha fatto
un piccolo e quasi impalpabile passo indietro, a favore della sua
orchestra. Rimane ovviamente il perno attorno al quale ruota tutto
lo spettacolo ma, «con una gamba per volta» il Maestro
si «rifugia nel nulla».
Primo: mai i suoi pezzi hanno raggiunto un tale raffinato livello
di orchestrazione. Secondo: mai i suoi strumentisti hanno goduto di
una tale meritata centralità nei suoi spettacoli. Terzo: mai
le loro perizia tecnica e ispirazione esecutiva erano arrivate a tali
vette. Uno spettacolo di Conte, oggi, è un concerto corale,
pur rimanendo naturalmente uno spettacolo suo a pieno titolo. La sensazione
è però che si sia pienamente entrati in una fase “testamentale”,
non fatta di rinunce, di tristezza o di ripiego, ma propositiva. La
sensazione è che l’artista stia preparando la propria
successione: da adesso in poi la sua band potrebbe, se volesse, sopravvivergli,
senza scimmiottare la sua assenza.
Bisogna augurarsi che questi spettacoli siano registrati e che un
giorno siano pubblicati, perché stiamo assistendo a un evento
storico. Questo movimento del Maestro non ha il sapore di un abbandono
o di un amaro addio, bensì quello generoso e intelligente dell’evoluzione
della specie. I concerti odierni hanno compiuto un passo avanti, grazie
al passo indietro del protagonista. Prima ancora che di un artista,
è l’opzione di un uomo ammirevole.
Ovviamente non si tratta solo di una scelta. Il trascorrere del tempo
lascia i suoi segni. La voce è poca e roca, va centellinata
e gestita con parsimonia. Allo stesso modo, le energie fisiche vanno
dosate. Logicamente la band acquisisce maggior visibilità.
Ma diversamente da molti altri “grandi vecchi”, Conte
non si eclissa passivamente, lasciando ai suoi musicisti l’incombenza
di riempire lo spazio e il tempo rimasti orfani. No: ha costruito
per sé un ruolo da regista – regista degli altri e di
sé stesso – forse non indispensabile, ma di palpitante
produttività.
Non più smoking – da tempo, peraltro – ma polo
e giacca scure. Sempre più spesso non più seduto dinanzi
il suo pianoforte ma in piedi di fronte a un’asta di microfono.
La gestualità inelegante e spontanea di chi batte il tempo
sulla coscia o sul fianco con modi da osteria. Il portamento curvato,
non si sa se per scelta o per fatica. È questo il Paolo Conte
da bocciofila che presiede alla sua disinibita grandezza. E la presenza
scenica non flette di un centimetro rispetto alla prestanza di qualche
decennio fa. Gesticola con le mani per aria, lateralmente come se
provasse a spiccare il volo. L’evoluzione della specie passa
dunque anche dal trasferimento dalla posizione seduta alla stazione
eretta.
Appena goffo («l’inquietudine e gli inchini / fan di me
un orango») ma di palpitante potenza espressiva, come potentemente
espressiva è la voce residua che, a difetto di volume, pienezza
e definizione, fa leva sulla forza del timbro e flirta con il parlato.
Il dubbio che si tratti di uno stratagemma di mestiere non sorge mai.
Così come non si subodora l’impostura nel Paolo Conte
rumorista, tendenza non certo nuova – anzi, cifra perenne dello
stile – ma oggi forse ancora più libera e decomplessata.
Sono questi gli elementi di un’ultima giovinezza. Il paradosso
è che questa naturale, verace, anziana rusticità segna
il compimento di una raffinatezza formale frose mai raggiunta prima.
Uno dei rari segnali di questa stagione crepuscolare è il languore
felpato che diversi brani hanno assunto. «Per capirne un
po’ di più […] non basta un attimo». Ma cento
di questi anni.
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