Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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foto di Maurizio D'Accia |
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Interviste: Alberto Camerini
Avevo la punk band migliore del mondo
«Oggi non c'è più industria per i giovani.
Concentratevi sulla qualità della vostra arte e suonate ovunque.
E poi ci vuole fortuna». di Paolo
Tedeschi |
Con la riscoperta della musica anni Ottanta, i palchi si ripopolano
di suoi incredibili e bizzarri interpreti. Tra tutti, Alberto Camerini
è una delle maggiori icone di quel periodo, se non proprio il principale
rappresentante. L'abbiamo incontrato a margine di un concerto del
suo fitto calendario. - Alberto, non ti ha stancato il
soprannome Arlecchino? In fondo, nella commedia italiana è il buffone,
il servo sciocco o quello furbo umiliato dal padrone. «No,
non sono stufo di Arlecchino. La sua è una storia molto profonda.
Le sue origini risalgono al Cinquecento, quando il buffone di corte,
grazie a Caterina de' Medici in Francia, trova diffusione in tutte
le regge europee. Lui non era il servo sciocco, bensì il clown di
corte, cioè colui che “bastonava” il re sulla scena, facendo sorridere
il popolo. Ora che abito a Venezia studio l'Arlecchino in musica nel
Settecento veneziano. Ricerco documenti e nomi di antichi arlecchini.
Sto trovando elenchi e storie degli attori di quel secolo nella biblioteca
veneziana. È ancora la mia passione». - Un Camerini eclettico
che spazia dalla musica alla storia, dal teatro all'opera?
«No, non sono un eclettico, ma amo il mio mestiere. Oggi cerco di
fare un riporto storico, immaginando il rock 'n' roll nel Settecento,
come un'“opera buffa”. Studio violino perché vorrei scrivere per gli
archi e sapere poi che cosa chiedere a un violinista. Ma proseguo
ancora a fare musica con il computer e suono la chitarra».
- Fare musica è più difficile oggi o negli anni Ottanta?
«Oggi è tutto frazionato, c'è molta più concorrenza. Internet non
ha barriere e le proposte diventano infinite. Quando esistevano solo
Rai e Canale 5, c'erano quegli artisti proposti in un dato anno e
si sceglieva solo tra quelli. Sanremo, e poi Festivalbar, erano le
uniche trasmissioni esistenti, con una cassa di risonanza spaventosa.
Oggi Sanremo è ancora uno spettacolo televisivo, ma più nessuno vuole
parteciparvi perché non serve a vendere dischi. Che poi tra l'altro
non si vendono più perché si scaricano dalla rete. Diciamo quindi
che è molto più difficile oggi. Su internet c'è tutto, anche alcune
cose che una volta non trovavi su disco». - Tornando a
te, dopo la dance sei passato al punk. Esiste un trait d'union? Solitamente
il passaggio è contrario, cioè si parte dal punk e si arriva alla
dance. «Sì, è vero, ma questo è stato il mio percorso. La
dance però non l'ho mai del tutto abbandonata. Ancora oggi creo dance
col computer di casa. Ho avuto questa scissione perché avevo tanta
voglia di rock 'n' roll e tanta voglia di avere una band. Ho trascorso
quattro anni stupendi e penso che la mia fosse la più grande punk
band del mondo. Meglio dei Red Hot Chilly Peppers. Facevamo musica
cyberpunk, di ispirazione rancid, ma con note di ska». -
Ma poi hai smesso la cresta e sei ritornato a grande richiesta a cantare
i tuoi inossidabili pezzi anni Ottanta. Oggi vanno molto di moda,
anche tra chi quegli anni non li ha vissuti. «Mi cercavano
per fare quello e ho dovuto quindi lasciare la band punk. La “bear
band” - così chiamo la musica prodotta nei pub e nei centri sociali
- non paga. Non campavamo. Si faceva molta fatica. In fondo ora celebro
la mia carriera. Oggi mi diverte incontrare alcune vecchie conoscenze.
In uno degli ultimi concerti estivi ho suonato con i Righeira e poi
con Ivan Cattaneo». - Tra tutti quei nomi, il tuo sembra
però l'emblema di quella musica. «Grazie, fortunatamente sembra
di sì».
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foto di Maurizio D'Accia |
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- Quali sono invece i nomi delle persone che
consideri importanti per la tua carriera? «Claudio Rocchi
prima di tutti. Era un guru negli anni Settanta. Molto famoso per
la trasmissione “Popof”. Dai microfoni Rai parlava della filosofia
buddista e hippie. Ma non trovando i favori dell'establishment pop
nazionale è stato emarginato. Grazie a lui sono andato in sala di
incisione per la prima volta. Sono entrato nella casa discografica
Ariston come chitarrista, suonando con Ornella Vanoni, Fausto Leali,
Patti Pravo. Poi Rocchi andò a vivere in India in un monastero buddista
lasciando la musica. Dopo di lui metto il mio grande amico Eugenio
Finardi. Con lui sono andato all'isola di Wight. Eravamo amici per
la pelle, ma forse anche più per le canne. C'era grande sintonia tra
di noi. L'ho aiutato a fare il suo primo disco fornendogli diversi
componenti del gruppo. Poi con la sua stessa etichetta - quella anche
degli Area, la Cramps - ho inciso i miei primi dischi. Ricordo con
piacere anche Anna Identici, per la quale suonavo la chitarra. Era
una cantante commerciale degli anni Sessanta, moglie di un dirigente
del PCI. Con lei ho suonato in tutte le feste del PCI nel '73 in Puglia,
e nello stesso anno per la campagna elettorale in Umbria del senatore
Manca del PSI. Il nostro repertorio erano le canzoni di lotta del
movimento operaio. La famosa “Saluteremo il signor padrone” di Finardi,
gliel'avevo portato io tramite Anna Identici. Con lei ho suonato anche
a Sanremo». - Ritornando ai giorni nostri, si dice che
le aspettative verso il futuro degli attuali giovani siano più negative
rispetto a quelle di quando eravate giovani voi. Che cosa ne pensi?
«È vero. Oggi ho un figlio di 22 anni e mi rendo conto che il mercato
del lavoro si è ristretto, l'industria italiana implode. Non c'è più
industria chimica, siderurgica, elettronica, l'industria alimentare
con la diffusione capillare di colossi come Carrefour e Auchan è diventata
francese. Poi globalizzazione significa anche ingegneri russi, cinesi
e senegalesi che lavorano a metà prezzo. Diciamo che la vedo dura
per un giovane d'oggi trovare lavoro rispetto a quelli di un tempo.
Molto più dura». - E per concludere, a un giovane che
voglia intraprendere la carriera musicale che cosa ti senti di dire?
«Che ci vuole molta energia. Il mio suggerimento è di suonare ovunque
per farsi conoscere, e poi trovare qualcuno che pubblicizzi il disco.
Un giovane musicista non deve trascurare niente, concentrandosi sulla
qualità del prodotto della sua musica, cioè sulla qualità della sua
arte. Poi deve avere la fortuna di trovare una struttura promozionale
forte. Se no, non c'è niente da fare». Paolo
Tedeschi, sestese classe 1975. Diplomato in Comunicazioni visive
e laureato in Lettere moderne. Educatore professionale, giornalista
pubblicista, collabora con Il Diario del Nord Milano |
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