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Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati. Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata - e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il vino, il rugby e il viaggio.

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I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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foto di Marco Nencini
Ciclismo: le grandi corse a tappe a confronto

208 anni di Giro e Tour
Perché la Grande Boucle è un mastodonte in fuga da decenni, e la Corsa Rosa ha il fascino della provincia.

di Simone Basso

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Scrivere di Giro e Tour significa incrociare due monumenti classici dello sport europeo, le creature che più di ogni altre incarnano, nell’immaginario collettivo, l’epos del ciclismo.
Un rapporto simbiotico che ha sempre visto il predominio politicofinanziario dell’invenzione di Henri Desgrange rispetto a quella della Gazzetta; non furono solamente i sei anni di vantaggio nella nascita (1903 contro 1909) ma lo chassis complessivo degli eventi che fu sempre chiarissimo: la corsa francese stabilì le regole della mitologia, la gara italiana (subalterna) le seguì e le rinnovò.

Tête-à-tête e Tour in fuga...
Il Tour de France si internazionalizzò quasi subito ed ebbe l’idea geniale, nel momento di trasformazione dai primi gesti eroici all’epica dei giganti della strada, di introdurre le squadre nazionali. Una mossa che anticipò la globalizzazione sportiva, proprio nell’anno della prima Coppa del Mondo calcistica (1930), e inaugurò uno scenario che rese la Festa di Luglio un unicum.
Da lì cominciò la rincorsa impossibile della Corsa Rosa; furono forse gli anni Cinquanta il momento nel quale le due entità furono più vicine come valore complessivo; il distacco definitivo (e traumatico) fu stabilito nell’epoca del regno di Félix Lévitan (direttore della Société du Tour de France dal ’62 all’87 e fautore della maglia à pois e degli arrivi sugli Champs-Elysées).
Con Goddet come nume tutelare ad affiancarlo, la Grande Boucle divenne definitivamente un colosso dello sport mondiale, un marchio pari a Wimbledon e ai Mondiali calcistici. Il Giro di quegli anni, in crisi, si trasformò in una sorta di ripiego tecnico: il settennato consacrato a Moser e Saronni ne fu la conferma più evidente.
Almeno fino ai Novanta, il Tour scelse la via dell’innovazione pionieristica ribadendo una volontà quasi egemonica sul personale pedalante: il motto secondo cui è il Tour a fare i corridori, e non viceversa, fu sempre la realtà dei fatti.
Il Giro di Torriani, nel bel mezzo dell’accelerazione di Lévitan, rimase in una dimensione provinciale, da piccola “strapaese”; con l’arrivo di Castellano, e di Bici Italia, le cose cominciarono a evolversi.
Ma fu anche “colpa” dell’eccesso di successo francese: dall’era Leblanc in poi la Aso (la società che detiene i diritti del Tour e di altre corse monumento) ha rinunciato al proprio ruolo da esploratrice, abdicando nella ricerca di nuove strade.

Grandeur Boucle...
La spiegazione è nella grandeur dell’apparato che segue il Tour: le piccole località turistiche, le stazioni sciistiche senza grandi finanziamenti non possono più ospitare la Grande Boucle per carenze logistiche ed economiche.
Chiunque abbia assistito al passaggio della carovana pubblicitaria si è reso conto del suo gigantismo: prima della corsa, centinaia di mezzi sponsorizzati diffondono il nome di un marchio, di un territorio, di un’idea al pubblico assiepato sulle strade.
È la carta vincente che ne ha fatto un blockbuster, la manifestazione sportiva annuale più seguita del pianeta: trattasi quindi di una scelta irreversibile; i tracciati devono toccare luoghi che possano permettersi l’esborso finanziario necessario e una sede stradale capiente.

foto di Marco Nencini

E il Giro?
È abbastanza chiaro che contro un apparato del genere non possa competere. Da almeno quindici anni il Tour ha anche requisito gli atleti più dotati per le corse a tappe: essendo il Tour quindi intoccabile, almeno dal punto di vista mediatico, la Corsa Rosa si è ritagliata uno spazio. Rimane più legata al ciclismo “puro” malgrado, negli ultimi anni, abbia cominciato a radicalizzare il suo marketing. Ma a dispetto del carrozzone che la caratterizza, riesce ancora a permettersi il lusso delle sperimentazioni più ardite.
Esempi opposti, quanto ad efficacia, della politica del nuovo deus ex machina Angelo Zomegnan sono state le ultime due edizioni: nel 2009, l’anno del centenario, il disegno voleva essere innovativo. La Cuneo-Pinerolo evirata della sua parte francese, le Dolomiti quasi ignorate, il passaggio inutile in una Milano indifferente e pericolosa (per i corridori), il Gran Finale tra il Vesuvio e il Colosseo partorirono uno dei punti più bassi del gioiello di Rcs Sport.
Come non bastasse, ancora prima della squalifica postuma di Di Luca (secondo arrivato), l’insuccesso fu decretato dal rating televisivo più basso di sempre. Altro fattore delicato se si vuole veramente analizzare le differenze tra i due monoliti della pedivella: il Tour trae le sue fortune anche dalla collocazione temporale, luglio è il momento vacanziero di molti francesi e fu un’idea del generale De Gaulle che (involontariamente?) rese un servizio enorme alla Grande Boucle.
Non essendo più possibile ripensare un Giro ad agosto - il periodo delle ferie italiane - il fine settimana è diventato strategico per calamitare più pubblico possibile: con molte tappe chiave nei giorni sbagliati, il Giro 2009 disattese quella regola aurea e fu punito dal responso popolare.

Il 2010 si è collocato agli antipodi: partito dall’Olanda, ha scoperto nuove antiche passioni (lo sterrato delle strade bianche del Chianti, il Terminillo, il Grappa, lo Zoncolan e i Monti Pallidi) e, dopo un incipit incerto, è stato un ritorno al futuro: tanto pubblico ovunque, anche davanti alla televisione e nelle forme permesse dalla tecnologia (per esempio lo streaming). Riuscirà ad essere confermata la tendenza positiva di questa stagione? È un augurio, oltre che un auspicio, perché poche manifestazioni rappresentano il nostro Paese come il Giro.

In attesa del Tour 2010
Dopo la vittoria di Ivan Basso nella Corsa Rosa, il Tour de France vivrà sul duello tra il favoritissimo Alberto Contador e lo squadrone di Bruyneel capeggiato da Armstrong: chissà se un terzo incomodo sfrutterà la situazione.
Un’edizione molto difficile da leggere, che proporrà diverse tappe tranello (occhio all’arrivo ad Arenberg nella terza frazione, all’imbocco della foresta che caratterizza l’Inferno del Nord) e con una proposta sbilanciata nelle tappe di montagna.
Il settore alpino, che precede stavolta quello pirenaico, non presenta grandissime difficoltà; molto meno rassicuranti, per le gambe dei partecipanti, saranno almeno tre dì tra l’Ariège, l’Alta Garonna e gli Alti Pirenei.
Da sottolineare col pennarello rosso i due arrivi consecutivi ad Ax-3 Domaines (in quota) e a Bagnères de Luchon (dopo l’ascesa del Balès). Infine la giornata decisiva, in data 22 luglio, nella Pau-Col du Tourmalet.
L’unica cronometro individuale lunga, da Bordeaux a Pauillac, dovrebbe semplicemente ritoccare i distacchi in classifica.

Si comincerà dai Paesi Bassi, nella splendida Rotterdam, un trait d’union che lega il Tour a Giro e Vuelta, anch’esse (nelle ultimissime fatiche) partite dalla terra di Van Gogh: una dimostrazione pratica che l’investimento nel grande ciclismo porta indubbi vantaggi, non solo di promozione turistica ma sociale.
La bici da passeggio è l’unica salvezza alla follia del traffico automobilistico. Per tutto il resto, vedremo chi indosserà l’ultima maglia gialla, domenica 25 luglio ai Campi Elisi.

Simone Basso tra le troppe cose che fa per sopravvivere è un cantante, aka Enomìsossab, ed ogni tanto scrive di sport e di musica...

     
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