(fotografia © Giorgio Fogliani)
Anteprima Etna: prime luci sull’ultima vendemmia
di Giorgio Fogliani
Randazzo (CT) – aprile 2017
“Le Contrade dell’Etna”, l’annuale “salone” (virgolette obbligatorie, poiché si tiene en plein air) che riunisce i produttori del vulcano siciliano, ha festeggiato nel 2017 la propria decima edizione. Per l’occasione ha cambiato per la terza volta scenario, con il Castello Romeo di Montelaguardia (nei pressi di Randazzo) a succedere alle cantine di Andrea Franchetti, ideatore della manifestazione, e Alberto Graci. La nuova struttura, se ha risolto alcuni problemi logistici delle passate edizioni (in primis, lo spazio), ne ha però mantenuti altri, come l’ambientazione all’aperto – è vero, come insegna Jules Chauvet1, che all’aria aperta si degusta meglio, ma è vero anche che in aprile sull’Etna può piovere, e infatti è piovuto –, la durata troppo limitata (non basta un giorno solo, con una partecipazione di aziende che sfiora il centinaio) e la non sempre effettiva separazione dei momenti consacrati agli operatori da quelli dedicati agli amatori. Non sono pochi, infatti, i produttori a lamentare un clima troppo “festoso”.
Il visitatore mattiniero può, comunque, giovarsi delle ore antimeridiane per assaggiare con relativa tranquillità il frutto dell’ultima vendemmia etnea, in questo caso la 2016, e talora di qualche altra annata, dato che alcuni produttori hanno scelto di far degustare anche millesimi meno recenti. Su quale difficile e periglioso esercizio sia assaggiare vini tanto giovani, peraltro, si potrebbe discutere; per quanto mi riguarda, mi limiterò a un generico caveat per chi legge: le note che seguono sono naturalmente figlie delle condizioni d’assaggio or ora descritte.
Ultime vendemmie: un profilo generale
2016: andamento positivo fino a settembre, fresco e con il giusto tasso di umidità. Tra settembre e ottobre sono arrivate le piogge, pur senza l’abbondanza del 2013. Alcuni vignaioli avevano già vendemmiato, altri sono corsi a raccogliere, altri hanno preferito aspettare il ritorno del sole, ma si è resa necessaria un’attenta cernita. I giudizi dei produttori non sono sempre concordi, ma la maggior parte di loro sembra convergere su un’annata complessivamente equilibrata, fresca, più improntata alla finezza che alla solarità.
2015: annata più problematica e piovosa: fenomeni grandinosi hanno fortemente limitato i raccolti. Maturità fenolica non sempre facile, risultati dunque quanto mai affidati al talento dei singoli vignaioli. Tuttavia più d’uno di loro invita a non sottovalutarla, specie in prospettiva.
La degustazione
Bruno Ferrara Sardo
‘Nzemmula 2016: naso con la consueta potenza dei vini di questo vignaiolo, ma controllata e non priva di freschezza. Frutti rossi di bella maturità e anzi in leggera surmaturazione, buon corredo speziato. Bocca fresca, scattante e nervosa, acidità ancora in parte malica ma non cruda. Tannino gagliardo. Promettente.
Palmento Costanzo
L’azienda possiede 14 ettari vitati (coltivati in biologico) sul versante nord, in contrada Santo Spirito.
Il Mofete rosso 2016 (80% nm, 20% nc, acciaio, cemento e tonneaux) è un vino di fattura tecnica ma che non tradisce una buona materia: il naso, ancora fenolico, lascia intravedere note di bacche e una leggera speziatura. La bocca è scorrevole, godibile, sebbene non travolgente.
Più coinvolgente la “riserva” Nero di sei 2016 (vigne con rese più basse, acciaio e tonneaux): naso piuttosto austero, serio e profondo. Bocca di linfa e radici, ancora preda dell’acidità, ma di razza.
Graci
Assai istruttiva la degustazione dei tre vini di contrada 2016: Arcuria cerca (e trova) un’espressione in eleganza e in sottigliezza, con un bel naso di erbe amare e la bocca che coniuga sostanza e leggerezza nel tocco.
Più ricco, generoso e tannico Feudo di Mezzo, cru dal suolo più sabbioso e meno roccioso rispetto al precedente: dotato di una mineralità più scura, sarà probabilmente più presto a lasciarsi godere.
Barbabecchi, la contrada più alta, è un etna classico e già espressivo al naso, profondo nella definizione aromatica, setoso e sensuale nell’incedere. Acidità ancora mordente (malolattica da svolgere), vino che andrà forse atteso più a lungo.
I custodi delle vigne dell’Etna
Ottima prova per i due rossi, il più accessibile Pistus (in versione 2015) e il più ambizioso Aetneus (2016). Quest’ultimo ha profumi seducenti di china e spezie, acidità tagliente in bel corpo vellutato, ricca e fine la dotazione tannica, amari nobili nel finale. Il primo mantiene invece il suo timbro vivace e un po’ selvaggio: liquirizia e rabarbaro, con qualche tocco ossidativo. Bocca terrosa, acidità lievemente cruda, ma con una vera mineralità.
Quanto ai bianchi, entrambi del 2015, Ante (carricante di S. Alfio, sul versante orientale, in acciaio) ha un naso di pietra focaia, già precocemente evolutivo (il frutto di un millesimo difficile?) e bocca diritta e minerale, mentre di Vinujancu parleremo in seguito.
Federico Curtaz
Etna bianco 2016: Carricante da Biancavilla, versante sud-ovest. Naso ancora teneramente fermentativo, ma puro e di pregevole impronta montana. Bocca severa e rettilinea, chiusura ordinata.
Federico Graziani
Il ravennate propone il suo primo bianco, Mareneve, cui si farà cenno più avanti, più due annate del suo rosso di punta, Profumo di Vulcano: in grande spolvero la 2013 (frutto scuro, pepe nero, materia gustosa e profonda, salina e nobilmente amara), mentre la 2016 sembra avere qualcosa in meno, inchiostrata e fenolica, con il rovere che rischia di prendere il sopravvento. Questione di tempo?
Az. Agr. Siciliano
Medico in pensione, Rocco Siciliano si occupava da tempo di viticoltura nei suoi pochi ettari di Passopisciaro, dove, in virtù di una collaborazione con l’Istituto Regionale del Vino e dell’Olio, aveva impiantato sperimentalmente, negli anni Novanta, anche alcune varietà internazionali. Data invece al 2015 l’inizio della sua collaborazione con Alessandro Viola, vignaiolo ed enologo del Trapanese, assieme al quale abbraccia i dettami di una vinificazione “naturale”. Oltre a un bianco macerato, realizza due etichette di etna rosso, Torretta nera e Nonna Aurelia, più una da pinot nero e una da cabernet franc e sauvignon. I vini sono assai espressivi, cercano uno spettro olfattivo immediatamente fruttato-floreale in cui parrebbe di riconoscere un’ispirazione francese, “beaujoleggiante”. Torretta nera 2016, il cui naso è penalizzato dalla malolattica in corso di svolgimento, ha nondimeno forza, potenza, allungo e una chiusura balsamica assai promettenti. Più pronti i 2015, specie Torretta nera, che ha materia golosa e rinfrescante, tannino vigoroso e ben gestito, mentre Nonna Aurelia (vinificazione da singolo vigneto) ha acidità più affilata e tannino più polveroso.
Giovanni Rosso
Davide Rosso, dell’azienda Giovanni Rosso di Serralunga d’Alba, è alla sua prima vinificazione sull’Etna, dove ha acquistato 6 ettari. I suoi due vini (un etna bianco e un etna rosso) cercano sottigliezza ed eleganza, in uno stile etneo “moderno” che, se non è trascinante, non risulta però privo di personalità. Il rosso, in particolare, è un vino serio, un poco ritroso, ma che rivela in bocca una certa linfa e un tannino ben gestito, con una chiusura aggraziata.
Girolamo Russo
I vini di Giuseppe Russo sono solitamente più restii di altri a esprimersi in gioventù, anche per il non parco utilizzo del rovere. Un peccato che ‘A rina, il vino “base” ma spesso pure il più godibile dell’azienda, non fosse presente in degustazione. Delle tre etichette “di contrada” la più in forma appare Feudo – più vinosa e polputa – mentre San Lorenzo e Feudo di Mezzo hanno un profilo più riservato. Ma a questo stadio la prudenza in questo tipo di valutazioni è più che mai raccomandabile.
Calabretta
Vigne vecchie 2016: naso di rara eleganza, floreale e balsamico. Raffinato nel tocco, linfatico, misurato nel tannino, mostra già oggi una facilità di beva che fa quasi rimpiangere il fatto di non vederlo in bottiglia che tra una decina d’anni.
[1 Vignaiolo, négociant, chimico, degustatore del Beaujolais, Jules Chauvet (1907-1989) è stato figura chiave della storia vitivinicola francese. La sua abitudine di degustare soltanto all’aperto è raccontata in quest’articolo da Jacques Perrin, che a sua volta riprende un libro di Corinne Desarzens, Tabac de Havane évoluant vers le chrysanthème, edito nel 2008 da Jean-Paul Rocher.]