(Il giardino del Lussemburgo, Parigi – fotografia Samuel Cogliati)
Lo spirito di resilienza di Parigi
di Samuel Cogliati
settembre 2016
Se domandate a chi ha vissuto gli entusiasmanti anni del Secondo dopoguerra – i tre decenni che i francesi chiamano Les Trente glorieuses – vi dirà senz’altro che le cose sono radicalmente cambiate, che il clima oggi è triste e la città opaca, che sui volti della gente sono scomparsi i sorrisi. Probabilmente, a modo suo, ha ragione; c’è motivo di credere che la sua visione dei fatti e la sua memoria sono affidabili.
Eppure, allo sprovveduto viaggiatore che si conceda il lusso – in tutti i sensi – di un paio di giornate spese a vagabondare per le vie di Parigi, qualcosa dell’intimo splendore della Ville Lumière appare tutt’oggi con evidenza, sia nella forma sia nei fatti. Anzi, in una forma che, in un certo modo, contiene i fatti. Questo piccolo ma durevole lucore del vivere è una French touch, come dicono inspiegabilmente i francesi, che si materializza in una serie di dettagli di discreta importanza.
Gli scaffali del piccolo negozio di alimentari di quartiere, provvisto di poco di tutto, ma soprattutto di quegli irrinunciabili articoli voluttuari, tra cui, a fronte di una sola marca di latte, tre o quattro marche diverse di champagne.
I dehors dei bistrot brulicanti di gente, dal café-croissant della prima colazione all’insalata con calice di muscadet del pranzo, dal demi di birra alla spina dell’aperitivo precoce alla crème brûlée del dopocena. In barba al fuoco assassino degli attentati terroristici, al cui rischio, a dire il vero, è difficile pensare con convinzione, mentre si sorseggia un perrier venduto al prezzo di un calice di spumante.
I vialetti ordinati e fioriti del giardino del Lussemburgo, affollati in pausa pranzo, o in “pausa vita”, in un orario qualunque della settimana lavorativa (per ora ancora) di 35 ore.
Ebbene, questa “pausa vita”, ovvero quest’abitudine inveterata di ricordarsi di godere, appena possibile e il più spesso possibile, dei piaceri della breve esistenza umana, siano essi grandi o piccoli, rimane un caparbio marchio di fabbrica di pariginità. È ancora, nonostante tutto e chissà per quanto tempo, la manifestazione visibile e tangibile di una volontà di prendere le cose – un libro, un bacio, una crêpe – dal verso giusto. Ovvero di non dimenticare di dare all’esistenza un senso più elevato della semplice procedura alzati-lavora-nutriti-dormi. Certo, questa deliberazione non è alla portata di tutti; anzi, a Parigi occorre un portafogli di discreto spessore. Ma al netto di questo dettaglio, tutto ciò si ostina ad avere un significato, nell’ex capitale mondiale del savoir-vivre.