di Samuel Cogliati Gorlier  

• 19 novembre 2023 •  

Dopo aver visto, con decrescente delusione, The Palace di Roman Polański (un Triangle of Sadness simpaticamente cinepanettonizzato e product-placementizzato), C’è ancora domani di Paola Cortellesi (ben vengano il messaggio e l’intento! Un po’ scontata la resa) e Asteroid City di Wes Anderson (divertissement di genio avanguardistico a tratti noioso), arriva Ken Loach. 

Loach lo conosciamo. Conosciamo i suoi stilemi, le sue posizioni socio-politiche, la sua poetica. Non si può dire che l’inventiva sia il suo forte. Non è il mago del colpo di scena né delle sorprese a bruciapelo. È per questi motivi che, lo ammetto, vado sempre a vederlo con uno strisciante malumore, e un po’ prevenuto. E di solito esco dal cinema di cattivo umore ma dopo aver fatto piazza pulita di quei sentimenti. 

Un film come The Old Oak si colloca nel solco ormai ben tracciato del cineasta britannico. Anche questa volta niente di particolarmente nuovo. Una fotografia sobria, qualche compiaciuta lungaggine nei misurati dialoghi, un iperrealismo a tratti sconfortante. E, naturalmente, una storia forte. Molto forte. Non tanto nella vicenda, chiara sin dall’inizio, né nel suo svolgimento. 

La forza di Ken Loach è l’irresistibile potenza dell’umanità e dei sentimenti, trasmessi con vincente semplicità. Semplice, ficcante, dirompente. Alla fine vince lui. Alla fine vince la ragione. Alla fine le critiche – un italiano amante di Sorrentino o di Garrone potrebbe trovare frustrantemente spoglio e inestetico il suo stile – si sciolgono come neve al sole. Perché ha ragione lui. 

Un film di Loach – nelle specifico The Old Oak – ha sempre il merito di far tabula rasa dello sconforto di un intellettuale incline alla resa. Quando stai per mollare, quando inizi a dubitare dell’utilità della verve e dell’atto creativi, Loach ti mette spalle al muro. Ti costringe a renderti conto del tuo privilegio e, al contempo, della tua utilità. Poco importa stabilire se si stia o meno parlando di morale. Quel che conta è il risultato. E il risultato gli dà ragione. •

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